La Formula 1 entra nel 2026 con l’ambizione di reinventarsi, ma c’è chi intravede più incognite che opportunità. Il nuovo ciclo regolamentare, che si prefigge di riscrivere aerodinamica e power unit, viene presentato come un reset totale dopo la chiusura dell’era a effetto suolo. Per Gary Anderson, ingegnere di lunghissimo corso, che ne ha parlato in un’intervista concessa a The Telegraph, non è detto che azzerare significhi migliorare. Anzi, il rischio è quello di aver spinto la complessità oltre il punto di equilibrio.
L’ex direttore tecnico di Jordan e Jaguar non parla per istinto conservativo. La sua lettura nasce dall’esperienza diretta di chi ha attraversato più rivoluzioni regolamentari e ha visto come le buone intenzioni possano trasformarsi in problemi strutturali. Le monoposto 2026, secondo Anderson, non appariranno radicalmente diverse a colpo d’occhio, ma sotto la carrozzeria saranno macchine più difficili da comprendere, da far funzionare e, soprattutto, da guidare. Un dettaglio tutt’altro che secondario per uno sport che ha appena chiuso il 2025 con una delle griglie più compatte di sempre.

F1 2026: un reset troppo radicale?
Il punto di partenza della sua preoccupazione è tecnico. I regolamenti del 2026 smantellano gran parte del know-how accumulato dal 2022 in avanti. L’effetto suolo viene ridimensionato, i pavimenti diventano meno aggressivi, le ali vengono semplificate e ridotte nelle dimensioni.
A tutto questo si aggiunge l’introduzione dell’aerodinamica attiva (anche all’anteriore), che sostituirà il DRS con due configurazioni distinte: una ad alto carico per le curve e una a bassa resistenza per i rettilinei. Sulla carta, il risultato dovrebbe essere uno spettacolo più dinamico, con velocità di punta elevate e sorpassi facilitati. Nella pratica, Anderson teme che l’interazione tra aerodinamica attiva e nuove power unit generi più problemi di quanti ne risolva.
Il vero nodo, infatti, non è solo l’aria ma l’energia. Dal 2026 le unità di potenza abbandoneranno l’MGU-H, utilizzeranno carburanti sostenibili al 100% e affideranno circa metà della potenza complessiva alla componente elettrica. Una trasformazione profonda, che secondo Anderson rischia di compromettere la guidabilità delle vetture. Già oggi si vedono casi in cui l’erogazione elettrica “finisce” prima del termine del rettilineo; amplificare questa dipendenza dall’ibrido potrebbe costringere i piloti a gestioni innaturali, lontane dall’idea di attacco istintivo che dovrebbe definire la Formula 1.
F1 2026: le nuove modalità sono un rischio
Il timore è che la prestazione non venga più richiesta quando serve davvero. Il pilota, quando affonda il piede, pretende tutta la potenza disponibile. Se invece sarà costretto a convivere con limiti energetici proprio nelle fasi più delicate del giro, la guida diventerà un esercizio di compromessi, più vicino alla gestione che all’aggressione pura. Ed è qui che Anderson vede un cambio di paradigma potenzialmente pericoloso.
La conseguenza più grave, a suo avviso, riguarda l’equilibrio competitivo. Il 2025 ha mostrato una Formula 1 finalmente compatta, con distacchi ridottissimi tra Q1 e Q3. Un patrimonio costruito in anni di stabilità regolamentare. Il 2026 rischia di spazzarlo via in poche gare. L’ingegnere non esclude che alcune squadre possano presentarsi al primo Gran Premio con distacchi nell’ordine di tre o quattro secondi al giro, non per mancanza di capacità, ma per la difficoltà intrinseca di interpretare regole e sistemi estremamente sofisticati.
In questo scenario, il peso specifico dei piloti potrebbe ridursi drasticamente. Cosa che va contro tutti i principi enunciati dal legislatore che afferma di voler rimettere il conducente al centro del villaggio della Formula 1. A fare la differenza non sarebbe più chi guida, ma chi progetta e chi gestisce i sistemi nel “retrobottega tecnico”. Errori concettuali compiuti all’inizio del ciclo regolamentare potrebbero accompagnare le squadre per anni, rendendo la Formula 1 meno una competizione sportiva e più una lunga rincorsa ingegneristica. Un rischio già visto in passato, ma che ora potrebbe essere amplificato dalla complessità estrema delle nuove regole.

F1 2026: misure troppo drastiche?
Anderson non contesta l’idea del cambiamento in sé. Contesta la scala della mutazione che è troppo radicale, impattante e potenzialmente nociva. A suo giudizio, la Formula 1 avrebbe potuto evolvere senza demolire ciò che funzionava: vetture più leggere e compatte, una maggiore differenziazione tra le mescole delle gomme per stimolare la strategia, piccoli interventi aerodinamici per ridurre la sensibilità all’altezza da terra. Un’evoluzione, non la deflagrazione cui assisteremo tra poche settimane.
È particolarmente critico anche sulla battaglia contro l’aria sporca. Le monoposto moderne restano “proiettili aerodinamici” e, per definizione, generano turbolenza. Pensare di eliminarla definitivamente è, secondo Anderson, un’illusione costosa. Gli ingegneri migliori trovano sempre il modo di sfruttare le regole, e nel giro di pochi anni il problema tende a ripresentarsi sotto altre forme.

Le voci su possibili vantaggi iniziali di alcuni costruttori – Mercedes in primis sul fronte motoristico – circolano con insistenza nel paddock. Ma anche su questo Anderson invita alla prudenza. È troppo presto per stabilire chi partirà davanti e chi inseguirà. L’unica certezza, nella sua analisi, è che potrebbe volerci molto tempo prima di rivedere una griglia equilibrata come quella salutata ad Abu Dhabi.
Ed è proprio questo il punto più delicato. La Formula 1 aveva finalmente raggiunto una parità tecnica credibile. Metterla a rischio in nome di una complessità eccessiva potrebbe rivelarsi il prezzo più alto del 2026.
Illustrazioni: Chiara Avanzo per Formulacritica
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