Nel grande gioco mediatico che accompagna la vigilia della rivoluzione tecnica del 2026, anche in casa Red Bull iniziano a filtrare segnali meno univoci di quanto il racconto dominante lasci intendere. Raymond Vermeulen, storico rappresentante – o procuratore, come più vi aggrada – di Max Verstappen, ha lasciato trapelare una punta di ottimismo sul progetto della squadra di Milton Keynes, in particolare sulla power unit sviluppata in collaborazione con Ford che si occuperà maggiormente della parte elettrica in forza del suo know-how sulla materia. Segnali, appunto. Nulla di definitivo, ma nemmeno parole vuote.
Vermeulen stavolta è stato esplicito: “Si sentono cose positive sul motore”, ha ammesso. Ma subito dopo ha messo il punto centrale della questione sul tavolo: il riferimento. O meglio, la sua totale assenza. In questa fase non esistono benchmark affidabili, né in positivo né in negativo. Nessuno sa realmente dove si trovi rispetto agli altri, perché nessuno ha ancora dati comparabili.

È proprio su questo terreno che si inserisce il tema Red Bull Powertrains. Produrre unità di potenza completamente autonome è una sfida enorme e, per molti osservatori, rappresenta un fattore che penalizza automaticamente le possibilità del team nel 2026. Red Bull, però, ha scelto consapevolmente questa strada quando Honda annunciò l’uscita dalla Formula 1. Una decisione radicale, che ha cambiato il destino tecnico della squadra. L’ironia della sorte vuole che il successivo dietrofront del costruttore del Sol Levante e la sua permanenza nel 2026 abbiano finito per favorire Aston Martin e il progetto guidato da Adrian Newey, lasciando Red Bull a percorrere fino in fondo la via dell’autosufficienza.
Laurent Mekies è il primo a non minimizzare la portata di ciò che il suo personale sta affrontando. Il team principal transalpino è perfettamente consapevole degli ostacoli, soprattutto nelle fasi iniziali del progetto, e non ha mai venduto illusioni. Anzi, ha definito la scelta di produrre internamente i motori come una “decisione folle”, probabilmente una chiamata che “solo Red Bull può permettersi di fare”.
Eppure, dietro questa apparente follia, c’è una struttura che negli ultimi anni ha preso forma con una rapidità tutt’altro che banale. Red Bull Powertrains oggi può contare su un edificio dedicato, banchi prova, infrastrutture di alto livello e circa 600 persone già operative. Un numero che, se isolato dal contesto, può sembrare inferiore a quello dei costruttori storici, ma che assume un peso specifico diverso se si considera il tempo necessario per costruire da zero un reparto di questo tipo.
Mekies lo ha spiegato con lucidità: Red Bull proverà a competere contro realtà che producono motori da 80 o 90 anni. Pensare di arrivare subito al vertice sarebbe ingenuo. Ci saranno mesi difficili, notti insonni e inevitabili mal di testa. Ma, allo stesso tempo, è proprio questa la natura della sfida che il gruppo anglo-austriaco ha deciso di abbracciare, con la possibilità di farlo insieme a Ford.
Un aspetto spesso sottovalutato nel dibattito pubblico riguarda la qualità delle risorse umane acquisite. Red Bull non ha semplicemente assunto personale: ha attinto in modo mirato alle competenze dei rivali, in particolare da Mercedes, oltre a beneficiare indirettamente della riorganizzazione avvenuta in casa Renault che ha chiuso il comparto Formula 1 di Viry-Chatillon. La decisione di Alpine di diventare team cliente ha liberato un bacino di tecnici specializzati sulle power unit 2026, creando un’opportunità immediata per Red Bull e Audi. In questo scenario, il fatto che Milton Keynes abbia già messo insieme circa 600 addetti al reparto motori diventa un risultato tutt’altro che marginale, soprattutto se confrontato con i circa 700 tecnici di cui dispone Mercedes High Performance Powertrians.
Questo non significa che Red Bull debba essere considerata una favorita per il titolo nel 2026. Un team con la sua storia vincente non è programmato per puntare a obiettivi inferiori ai campionati mondiali, ma il nuovo ciclo regolamentare impone una lettura più realistica. Il primo vero successo di Red Bull Powertrains sarebbe quello di presentarsi con un propulsore sullo stesso piano dei costruttori veterani come Mercedes, Ferrari e Honda e magari davanti all’altra subentrante. ossia Audi.

Se il progetto dovesse pagare qualche decimo esclusivamente sul fronte motore, non sarebbe uno shock. La vera domanda è un’altra: quanto sarà contenuto quel margine? Se il distacco resterà entro limiti gestibili, allora il reparto telaistico-aerodinamico, storicamente uno dei punti di forza dell’ecosistema Red Bull, potrebbe avere lo spazio tecnico per compensare e ridurre il gap.
Ed è qui che il racconto sulle aspettative torna centrale. Forse Red Bull è stata considerata troppo facilmente un’incognita destinata a soffrire. Forse il fatto di non avere un motorista “storico” ha portato molti a dare per scontato un ruolo da inseguitrice. Ma la combinazione tra competenze assorbite dai rivali, infrastrutture costruite rapidamente e la partnership industriale con Ford suggerisce un quadro meno scontato.
Se la power unit 2026 dovesse rivelarsi più consistente di quanto oggi si immagini, il paddock potrebbe scoprire di aver tenuto le aspettative sulla Red Bull troppo al ribasso. E la storia recente della Formula 1 insegna che sottovalutare il gruppo austriaco, soprattutto all’inizio di un nuovo ciclo tecnico, è spesso il primo errore che gli avversari commettono.
Crediti foto: Oracle Red Bull Racing
Seguici e commenta sul nostro canale YouTube: clicca qui



