La migliore versione di Lewis Hamilton l’abbiamo vista fino al dicembre 2025, quando un colpo di mano di Michael Masi spezzò quello che ormai sembrava messo in archivio: l’ottavo titolo iridato. Molto si è detto degli strascichi di quell’episodio. Per tanti osservatori Lewis ha subito il contraccolpo psicologico ammorbidendo la sua ferocia. Per altri è stata l’età a presentare il conto quasi di colpo. Ragioni valide, coerenti, ma che non spiegano tutte le difficoltà incontrate dal pilota più vincente di sempre.
La parabola tecnica e sportiva del britannico nell’era dell’effetto suolo racconta molto più di semplici difficoltà di adeguamento. Narra, piuttosto, di un limite strutturale di una generazione di monoposto che ha premiato caratteristiche lontane dal suo DNA di guida e che, nel tempo, ha finito per logorare il suo rapporto emotivo con la Formula 1. Certe uscite post sessioni del 2025 sono lì a raccontarlo. Un Hamilton svuotato, incapace di reagire, abulico. La copia sbiadita del leone che siamo stati abituati a vedere sin dalle categorie propedeutiche.

Dal 2022 in avanti, i numeri sono impietosi: solo due vittorie su 105 totali sono arrivate con le auto a effetto suolo. Un’anomalia statistica per un pilota che, per oltre un decennio, ha rappresentato il riferimento assoluto della categoria. Le difficoltà in qualifica, la scarsa incisività nelle fasi di frenata tardiva e nelle curve strette, l’impossibilità di “sentire” l’anteriore come in passato hanno reso questa generazione di macchine la meno amata da Hamilton da quando è entrato in Formula 1 nel 2007. Non a caso, il britannico non ha nascosto il sollievo per la fine di questo ciclo regolamentare, arrivando a dichiarare che non ci sarà nulla che gli mancherà di questi mezzi meccanici.
F1 2026: un momento di rottura per Hamilton e la Ferrari
Il prossimo mondiale diventa così una sorta di spartiacque simbolico. Non solo per Hamilton, ma per l’intero sistema tecnico della Formula 1. Un reset profondo – che coinvolgerà telaio, aerodinamica e power unit – che riapre scenari che fino a poche settimane fa apparivano chiusi o quantomeno cristallizzati. Hamilton lo sa bene e, guardando al passato, ricorda come i grandi cambi normativi abbiano avuto esiti molto diversi nel corso della sua carriera. Il 2009 fu traumatico, con una McLaren costruita su presupposti tecnici rivelatisi errati. Il 2014, al contrario, rappresentò l’inizio di un’era di dominio grazie a un progetto pensato con largo anticipo. Il 2017, quando tornarono le gomme più larghe, gli restituì una monoposto più fisica, più carica, più “vera” dal punto di vista del pilota.
Nel confronto con queste esperienze, l’era dell’effetto suolo esce nettamente sconfitta. Non solo per i risultati, ma per il modo in cui ha svuotato il piacere di guida e, in parte, il racconto stesso della Formula 1. Le apparizioni mediatiche di Hamilton nel 2025, come ribadito poc’anzi, fredde e ridotte allo stretto indispensabile, sono state il riflesso di una stagione vissuta più in difesa che da protagonista all’attacco.

Il suo sesto posto finale in campionato, con un distacco netto da Charles Leclerc e una sola vittoria nella Sprint di Shanghai come acuto stagionale, ha certificato ciò che era evidente da mesi: il matrimonio Ferrari-Hamilton, almeno nel suo primo anno, non ha prodotto il salto di qualità atteso. Il trasferimento più mediatico dell’ultimo decennio si è rivelato, nei fatti, un mezzo flop. Non tanto per responsabilità individuali, quanto per un contesto tecnico che non ha mai realmente permesso al progetto di decollare.
La scelta della Ferrari di congelare lo sviluppo della mal nata SF-25 già prima dell’estate, sacrificando il presente per concentrarsi sul futuro, ha ulteriormente appesantito il bilancio sportivo del 2025. Hamilton ha sostenuto apertamente questa linea, consapevole che restare indietro nella comprensione del nuovo regolamento avrebbe significato compromettere anche il 2026. Una decisione razionale, ma che ha avuto un costo immediato in termini di prestazioni e percezione esterna.
Ed è qui che il discorso si allarga. Perché se Hamilton “prega” affinché il 2026 non sia peggiore di ciò che ha vissuto, anche la Ferrari compie, in fondo, la sua preghiera laica. A Maranello si spera che il nuovo regolamento e, soprattutto, le interpretazioni iniziali delle norme possano finalmente rimescolare le carte, offrendo una via d’uscita da difficoltà tecniche che si trascinano da troppo tempo.
Il 2026 diventa così il punto di convergenza di attese, giustificazioni e speranze: per ridare centralità al progetto Ferrari, per restituire senso sportivo all’operazione Hamilton e per capire se il problema sia stato davvero l’effetto suolo o qualcosa di più profondo e orami endemico.
In questo contesto, l’imminente rivoluzione tecnica non è solo un cambiamento regolamentare. È un banco di prova definitivo. Per Hamilton, che cerca l’ultima grande rinascita della sua carriera. Per la Ferrari, che ha investito tutto su un futuro ancora da scrivere. E per una Formula 1 che, dopo anni di soluzioni complesse e spesso controintuitive, è chiamata a dimostrare di saper rimettere il pilota e la performance al centro del progetto.
Crediti foto: Mercedes-AMG Petronas F1 Team, Scuderia Ferrari HP
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