Il ciclo regolamentare avviato nel 2022 doveva rappresentare una svolta epocale per la Formula 1. Il ritorno all’effetto suolo, la semplificazione dei flussi aerodinamici superiori e la riduzione delle turbolenze nocive erano strumenti funzionali a un obiettivo preciso: consentire alle monoposto di seguirsi più da vicino, aumentando la possibilità di battaglia in pista e riducendo la dipendenza artificiale dal DRS.
Per un periodo limitatissimo, l’operazione era sembrata riuscita. I dati raccolti agli albori dell’era “ground effect” avevano mostrato un miglioramento rispetto all’era precedente. Poi, però, il sistema ha iniziato a incrinarsi. I team, con fucine tecniche all’avanguardia e risorse smisurate rispetto a quelle federali, nonostante i vincoli normativi, hanno cambiato passo spingendo sulle prestazioni e facendo riemergere vecchi nemici duri da abbattere.
Nikolas Tombazis, responsabile tecnico FIA per le monoposto, oggi lo ammette in modo esplicito. Il regolamento non è stato “aggirato” in senso stretto, ma è stato interpretato in maniera spinta anche se nell’alveo della legalità. Ed è proprio in questa distinzione che si annida il cuore del problema. Alcune aree normative, definite con eccessiva elasticità – o per meglio dire normate senza prevedere che potessero essere imboccate altre strade – hanno lasciato spazio a sviluppi che, pur formalmente legali, hanno progressivamente eroso l’effetto positivo che il pacchetto 2022 intendeva garantire. Il risultato è stato un deterioramento sistemico, non episodico, che ha riportato la Formula 1 verso dinamiche aerodinamiche già viste e già fallimentari.

Il caso più emblematico riguarda l’ala anteriore, e in particolare la paratia laterale. L’endplate era stato concepito come un dispositivo con un forte effetto in-wash, pensato per contenere e indirizzare i flussi in modo meno aggressivo verso l’esterno, limitando la generazione di vortici laterali dannosi per la vettura che segue. Nel tempo, però, la progressiva sofisticazione del collegamento tra i profili dell’ala e la paratia ha portato a una trasformazione concettuale. L’effetto out-wash è tornato a essere predominante, non perché esplicitamente consentito, ma perché il regolamento non è stato sufficientemente prescrittivo nel vietarlo. Lo ha ammesso lo stesso ex tecnico Ferrari.
F1 2026 e la necessità di incatenare meglio certi principi
Qui emerge un punto nodale: la Formula 1 è un ambiente in cui l’interpretabilità equivale a libertà progettuale. Ogni area grigia diventa una superficie di ricerca. Ogni principio non rigidamente codificato è destinato a essere spinto al limite. Tombazis riconosce che le norme non sono state abbastanza rigide, e che questa mancanza di fermezza ha permesso ai team di sviluppare soluzioni con effetti collaterali negativi sullo spettacolo.
I numeri raccontano una storia ancora più chiara. Nel 2021, una monoposto che seguiva un’altra a dieci metri di distanza perdeva circa il 50% del carico aerodinamico anteriore. Con le regole del 2022, quella perdita era stata ridotta intorno al 20%, un miglioramento enorme e misurabile. Dopo il 2023, però, la curva ha iniziato a risalire. La perdita di downforce è tornata a valori prossimi al 35%, vanificando gran parte dei progressi iniziali. In parallelo, i sorpassi sono diventati più complessi anche con il DRS aperto, segnale evidente che il problema non era più episodico ma strutturale. I numeri sono peggiorati nei due campionati successivi che hanno visto vanificato lo sforzo degli ingegneri federali che, nei fatti, hanno perso la battaglia tecnica con le scuderie.

L’ala anteriore non è stata l’unica area di intervento. Gli aerodinamici hanno lavorato in modo intenso sui corner anteriori, in particolare sui componenti interni della ruota, e sui bordi di uscita del fondo. Tutte zone capaci di generare vortici energizzati, fondamentali per sigillare il fondo e massimizzare la prestazione, ma dinemiche estremamente dannose per chi segue. Anche qui, l’intento del regolamento è stato progressivamente eroso, non da una singola soluzione rivoluzionaria, ma da una somma di micro-sviluppi coerenti tra loro.
Ciò che rende questa ammissione particolarmente importante è un altro passaggio delle parole di Tombazis: la FIA era consapevole del problema già da tempo. Non si tratta di una scoperta tardiva. Due anni fa, questi aspetti erano già chiari. Il tentativo di intervenire in corsa, però, si è scontrato con la governance della Formula 1. Modificare le norme tecniche durante un ciclo regolamentare richiede il sostegno della maggioranza dei team, e quel supporto non è mai arrivato. La FIA ha provato a intervenire, ma si è trovata isolata.
Questo passaggio ha un peso politico enorme. Racconta di un legislatore che individua una deriva tecnica, ma non riesce a correggerla perché privo del consenso necessario. Racconta, soprattutto, di un sistema in cui gli interessi competitivi delle squadre prevalgono sull’interesse collettivo dello spettacolo. Ed è esattamente questo equilibrio fragile che il regolamento 2026 dovrà ridefinire.
Tombazis guarda al futuro con cauto ottimismo, sostenendo che la gestione della scia sarà meno problematica con le monoposto del 2026. Ma quella speranza non è una semplice previsione tecnica: è una scommessa istituzionale. Il nuovo quadro normativo non può limitarsi a fissare obiettivi concettuali corretti; deve blindarli. Deve ridurre al minimo le aree interpretabili, anticipare le direzioni di sviluppo più probabili e accettare che l’ingegneria della Formula 1, lasciata libera, tende inevitabilmente a sacrificare la qualità della lotta in pista sull’altare della prestazione assoluta.

F1 2026: la FIA si gioca la credibilità
Per questo la Federazione Internazionale dell’Automobile, con il ciclo 2026-2030, si gioca molto più di una semplice evoluzione regolamentare. Si gioca la propria credibilità come legislatore tecnico. Un nuovo fallimento, una nuova deriva aerodinamica dopo pochi anni, confermerebbe una certa inadeguatezza strutturale nel definire una linea chiara e nel resistere all’abilità dei team di piegare i principi a proprio favore. La Formula 1 può accettare che le squadre siano brillanti, non che il regolamento venga sistematicamente svuotato dei suoi obiettivi.
Se anche il 2026 dovesse dimostrare che le auto non riescono a seguirsi senza generare turbolenze nocive, il problema non sarebbe più tecnico, ma politico. E a quel punto non basterebbero più né nuove promesse né nuovi cicli regolamentari. Sarebbe la conferma che, oggi, la Formula 1 corre più veloce della sua stessa governance.
Illustrazioni: Chiara Avanzo per Formulacritica
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