La Ferrari attraversa un momento delicato, nel quale convivono due narrazioni differenti che fotografano la complessità della fase attuale. Charles Leclerc, voce interna e punto di riferimento tecnico e umano della squadra, continua a difendere con convinzione il progetto impostato da Frédéric Vasseur. All’opposto, Maurizio Arrivabene – ex e predecessore del manager francese – osserva la Scuderia dall’esterno e pone l’accento sulle criticità legate alla scelta di ingaggiare Lewis Hamilton senza la certezza di potergli fornire una monoposto vincente. Due prospettive distanti ma rivelatrici, che raccontano di un Cavallino Rampante in cerca di equilibrio tra continuità metodologica e scelte di forte impatto mediatico.
Leclerc, in un’intervista a L’Equipe, ha spiegato con estrema chiarezza come il rapporto con Vasseur sia un punto di forza assoluto, costruito negli anni e rafforzato anche nei momenti più difficili. “Abbiamo sofferto insieme perché siamo uniti e abbiamo un rapporto basato sulla fiducia che dura da tanto tempo. Non ho mai dubitato delle sue capacità e lo sostengo, proprio come lui ha fatto con me”, ha affermato il monegasco, sottolineando un’unione che per sua stessa natura tende a rimanere invisibile dall’esterno. Leclerc descrive un team che lavora in silenzio, che resiste alle pressioni e che cerca di costruire un percorso tecnico solido nonostante la complessità dell’ambiente Ferrari.

È proprio in questo contesto che il pilota si dice “molto felice” di lavorare con Vasseur, ma ribadisce che ogni processo di ristrutturazione richiede tempo per tradurre una visione concettuale in risultati concreti: “Ci vuole tempo affinché possa trasferire la sua visione al team. Credo fermamente nel suo approccio”. Una dichiarazione che non è soltanto un attestato di fedeltà al proprio team principal, ma un richiamo implicito alla necessità di non confondere ricostruzione tecnica e aspettative immediate. Tutto questo, unito alla scelta di limitare drasticamente la propria esposizione esterna – “non ho nemmeno più i social sul telefono” – conferma l’immagine di un Leclerc concentrato, protettivo nei confronti della squadra e consapevole che i risultati non possono essere compressi dentro cicli artificialmente rapidi.
Dall’altra parte, Arrivabene rappresenta lo sguardo critico di chi conosce la Ferrari dall’interno e non ha alcun interesse (non più) a modulare i toni. Pur rifiutando giudizi diretti sull’attuale gestione, rivendica l’importanza del realismo quando parla dell’ingaggio di Hamilton, spiegando come un pilota del genere comporti implicazioni ben più profonde del semplice valore di guida.
Secondo lui, l’operazione è stata rischiosa perché un sette volte campione del mondo non dovrebbe essere portato a Maranello senza una monoposto già in grado di competere per la vittoria: “Lewis per me non è finito, è ancora competitivo. Però uno come Hamilton te lo metti in casa solo se sei in grado di dargli una monoposto competitiva. Ha bisogno del mezzo giusto per rendere al meglio. Se non ce l’hai, non assumerlo”.
La critica non è diretta al pilota, né alla persona, ma al processo decisionale: un team come la Ferrari dovrebbe evitare scelte che alzano il livello delle aspettative senza che il prodotto tecnico sia già pronto a sostenerle. Arrivabene conosce bene l’impatto mediatico e interno del fenomeno Hamilton, al punto da mettere in guardia sul rischio che una mossa così ambiziosa possa trasformarsi da opportunità in pressione ingestibile. Lo stesso manager italiano non rinuncia però a ribadire il valore assoluto di Leclerc, pilota che lui stesso portò in Ferrari nel 2019: “È un grandissimo pilota. Non ho dubbi, un giorno diventerà campione del mondo. Se con la Ferrari non lo so, ma glielo auguro”.

Una Ferrari a doppio binario in vista del 2026
È proprio in questa convivenza tra fiducia e scetticismo che emerge la vera fotografia strategica della Ferrari attuale. La squadra si muove lungo una doppia direttrice: da un lato il percorso metodologico impostato da Vasseur, che Leclerc difende e sostiene perché fondato su una cultura del lavoro più rigorosa, meno emotiva e finalmente orientata alla continuità; dall’altro una scelta dirompente come l’ingaggio di Hamilton, che rappresenta una scorciatoia potenziale verso la vittoria ma che, se non supportata dal livello tecnico necessario, rischia di accentuare le fragilità di struttura.
Queste due dimensioni convivono e plasmano oggi la narrativa di Maranello. Non si tratta di una frattura interna, quanto di una diversa percezione fra chi vive la Ferrari quotidianamente e chi la osserva dall’esterno con la memoria di un passato fatto di successi e di pressioni costanti. La sintesi finale è evidente: la Ferrari ha bisogno di coerenza, più ancora che di velocità. Leclerc invoca stabilità e tempo perché crede nel progetto Vasseur; Arrivabene ricorda che certe operazioni non possono essere fatte senza un impianto tecnico all’altezza. In mezzo c’è il team, sospeso tra la necessità di costruire e l’ambizione di tornare al vertice il prima possibile.

Il 2026 rappresenta il punto di convergenza di queste linee narrative. Lo abbiamo scritto a più riprese e lo ribadiamo con forza: quello venturo sarà l’anno che misurerà la capacità della Ferrari di integrare metodo e ambizione, costruzione e immediatezza. Da quella risposta dipenderà non soltanto il rendimento della coppia Hamilton-Leclerc, ma la credibilità stessa del progetto tecnico che la Scuderia sta cercando di definire. Il tempo è poco e non ce ne sarà molto per ricalibrare eventuali errori.
Leclerc si fida di Vasseur ma dopo tre anni di permanenza in rossa, al di là delle dichiarazioni di facciata, si aspetta che il metodo del transalpino inizi a produrre frutti dolci e maturi. Altrimenti il monegasco potrebbe non essere più sordo a certi richiami.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
Seguici e commenta sul nostro canale YouTube: clicca qui




