Essere Ferrari. D’accordo, siamo tutti fedeli alla Rossa, ci mancherebbe altro. Queste poche righe potrebbero disturbare i più, sarebbe comprensibile. Eppure, nell’ ennesimo momento di sconforto. Rabbia. Abbandono. Non ci poniamo limiti nell’attaccare il lavoro svolto a Maranello. In questo primo quarto di appuntamenti iridati è successo un po’ di tutto: deficit prestazionale, sfortuna, strategie dubbie e, nell’ultimo GP di Montréal, persino marmotte che, incolpevoli, causano danni aerodinamici alla vettura #44 italiana.
Dall’altro canto, un Charles Leclerc forse troppo ottimista spingeva per la strategia a una sola sosta. Ma dal muretto è arrivata la comunicazione che ha portato a un asso di picche. Ma davvero pensiamo che, se Leclerc si fosse piazzato ai margini del podio o in maniera del tutto inaspettata, avesse lottato per il terzo posto con l’ambizioso baby talento del team di Brackley, Andrea Kimi Antonelli, sarebbe cambiato qualcosa in questa stagione?

La risposta è negli annali di Maranello. Con Schumacher prima e Kimi Räikkönen poi, di corone iridate nel box Ferrari non ne sono mai più arrivate. Ci abbiamo provato con diversi team principal, altrettanti piloti, e abbiamo affrontato ogni nuovo regolamento come fosse l’ancora di salvezza per tenerci aggrappati alla speranza di un titolo mondiale.
Siamo nel 2025 e l’attuale regolamento tecnico è sul viale del tramonto. In prospettiva, si intravedono le vetture del 2026 – finalmente ridimensionate negli ingombri e mutate nelle filosofie – ma la strategia Ferrari non la conosce nessuno. Molto probabilmente arriveremo in ritardo e punteremo al 2030 o chissà a quando, o magari, inaspettatamente, saremo davanti. Però, il vero problema rimane ancorato al tifoso Ferrari.
Essere Ferrari: “l’errore” del tifoso è quello di continuare a sperare
Perché la colpa è del tifoso? Semplicemente perché ci crede ancora. Dopo tanti anni. Tante sventure e successi sfiorati. Può essere condivisibile o meno, ma la realtà appare piuttosto funesta dinanzi ai nostri occhi. L’invito di quanto appena scritto non è scatenare i nuovi orizzonti del giornalismo, o scardinarne la stessa deontologia come invece sembrava emergere durante i post sessione di questo weekend dai più esperti.
L’appello resta quello di non crederci per forza, né perché “la Ferrari deve stare davanti”. Si tratta, semmai, di provare ancora un sentimento forte e viscerale per qualcosa che, attualmente non ci corrisponde – magari godiamoci la terza vittoria consecutiva della 24 di Le Mans – e che tarda a farci gioire anche solo per una pole position o una vittoria di un Gran Premio. Figuriamoci di un mondiale.

Tutti i tifosi meritano di sognare, com’è lecito che sia. Anche nel calcio, spesso, in conferenze pre-stagionali, vengono alzate o abbassate asticelle, ma il tifoso che ama e crede deve rimanere aggrappato alla speranza. Tuttavia, a volte rassegnarci, resettare e ripartire con nuovi profili ai vertici di un team – più che commentare chi sta alla guida – potrebbe essere lo “scacco matto del successo”.
Pensiamo ai tifosi più giovani, che non ricordano gli anni di Michael e Kimi Räikkönen, che non hanno mai provato la vittoria di un mondiale. Eppure sono lì, a sperare ancora e a credere nel futuro. Per questo motivo, talvolta, rassegnarci al presente potrebbe essere il modo migliore per non patire l’assenza di risultati. Rassegnazione nel presente. Speranza nell’immediato futuro. Ancora una volta. Ancora senza titoli.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
Io sono cresciuto a pane e Ferrari nell’epoca di Schumacher: proprio perché scottato dagli insuccessi successivi, non sono più un tifoso speranzoso ma realista che tende a pessimismo