La precisazione è d’obbligo, non stiamo parlando di un santo ma di una persona che in quanto ad aridità umana e pelo sullo stomaco non è certo secondo all’imolese Stefano Domenicali. Bernie Ecclestone ha sempre fatto molto bene i suoi affari e anche quelli della Formula 1, aprendo a nuovi Paesi, negli anni Ottanta al blocco sovietico (Ungheria), passando per Cina e Bahrain, ma cercando di mantenere l’essenza del movimento sportivo. E ha avuto successo, se considerate che in Cina ed Emirati Arabi un marchio come Ferrari ha aumentato le sue vendite proprio perché si è presentata com’era, nella sua autenticità. Tuttavia, anche lui se fosse di Imola non avrebbe alcuno scrupolo a sfruttare il circuito per sopperire nelle emergenze, per poi con atteggiamento innocente sbattere la porta in faccia dicendo che non c’è spazio per l’Enzo e Dino Ferrari nella F1.
Domenicali ne fa un discorso economico ed ecologico, del fatto che l’Italia possa puntare solo su un gran premio e che quindi la scelta più scontata sia tenere Monza. Sarebbe interessante capire che tipo di discorso ecologico giustifichi Austin, Miami e Las Vegas, in quest’ultima pista si corre di notte, tra l’altro. E i gran premi non vengono svolti nemmeno conseguenzialmente, il che diminuirebbe l’anidride carbonica emessa dal Circus, tema a quanto pare ora molto caro al nostro manager imolese.

A quanto pare, per Domenicali ha senso fare tre gran premi negli USA, Paese in cui notoriamente la F1 non ha mai avuto un grande successo; ricordo come una sorta di baratro il famoso GP di Indianapolis nel 2005 in cui gareggiarono le sole vetture equipaggiate con gomme Bridgestone, tra i fischi del pubblico (quando la Ferrari vinceva, bei tempi direbbe qualcuno).
Le motivazioni di questa poca affezione possono essere molteplici, partendo dal fatto sostanziale che la cultura del Motorsport degli USA e dell’Europa è molto diversa. Senza offendere nessuno penso che quella europea sia più “raffinata”, mentre quella americana è più abituata ai “caution” e al ricompattamento delle vetture durante la gara.
Chi ha visto il film sulla F1 uscito a giugno (con Brad Pitt protagonista) capisce molto bene a mio avviso quello che piace agli americani e come Liberty Media desidera dipingere la categoria ai loro occhi, e di come, purtroppo, stia cercando di plasmarla nella realtà. Chiaramente essendo la produzione americana non avevo l’aspettativa di vedere un capolavoro ma una storia romanzata con un po’ di F1. Mi aveva rassicurato la presenza di Hamilton nella produzione. Almeno – pensavo – una parte di F1 sarebbe stata tutelata.
E invece ho assistito a un orrore, a una discrasia completa dalla realtà che mi ha lasciato senza parole. Non è stato molto pubblicizzato qui in Italia, e dopo averlo visto mi spiego anche il motivo. Questo film c’entra con la F1 come Domenicali c’entra con l’ecologia, cioè zero. Anche meno di zero, possiamo considerare anche i numeri immaginari.
Non voglio certo togliervi il gusto dell’orrido spoilerando parti del film ma in qualche modo lo farò, così non lo guardate. Partiamo dal fatto che il protagonista non corre in F1 dai tempi di Senna, fa qualcosa in Nascar e si “allena” alle gare come si faceva ai tempi del paulista. Senza offendere Senna che ai suoi tempi era un pioniere in fatto di preparazione fisica, è un po’ fuori dalla realtà che un pilota possa ritrovare la forma in quel modo. Voglio vederla come una forma di incoraggiamento per Alonso a continuare fino ai 50 anni. Attraverso i suoi ricordi potete comunque vedere l’unico richiamo alla Formula 1 che c’è nel film. Il giovane pilota prodigio è abbastanza pieno di sé e mi ha suscitato dal primo momento un certo fastidio. Ci ho visto del giovane Hamilton, anche se quello vero almeno vinceva.

Il resto è un misto di cringe e americanate, con i primi punti conquistati grazie al vecchio pilota che sperona chiunque senza essere immediatamente squalificato non solo dalla gara ma proprio dalla FIA; la quantità di donne ingegnere presenti superiore al numero di donne che potete trovare in un intero ateneo di ingegneria (tra meccanica e aerospaziale); la gara finale, che è il picco di cringe più alto del film e così poco da F1. E passibile di denuncia, se fossi Ecclestone lo farei.
Anche nel film per Hamilton la gara finale di Abu Dhabi è stregata, che viene vinta ovviamente dal vecchio pilota perché il lieto fine piace a tutti ed è un film americano. Ma il paradosso è che il compagno di squadra giovane promessa (di cui nell’intero film queste gesta mirabolanti non le abbiamo viste, a parte la spocchia) è tutto giocondo e partecipe ai festeggiamenti, comportamento che mai vedremmo in un contesto di F1, anzi. Il compagno di squadra sarebbe arrabbiatissimo, con un sorriso di circostanza e un rodimento interiore. Invece qui addirittura Toto Wolff gli dice di chiamarlo (ma serio?!), ma lui si è ritirato dopo essersi sfracellato con Hamilton mentre era in prima posizione (!!!)
Questo film – insieme alla bruttissima e rivedibile serie di Netflix “Drive to Survive” – rappresenta l’immagine che Liberty Media (e quindi Domenicali) vuole far passare al nuovo pubblico americano: una Formula Caos piuttosto che una vera Formula Uno. Con un po’ di dramma come le soap opera con movimentato artifizio. Alla fine quello che ne esce è un prodotto finto e i piloti appaiono come delle macchiette senza identità e naturalezza, rinunciando a raccontare quello che invece sarebbe più interessante: la loro interiorità e il loro punto di vista, che è inevitabilmente diverso rispetto al nostro.
In occasione del gran premio a Monza Domenicali ha rilasciato un’intervista al giornalista Sparisci sul Corriere della Sera, in cui annuncia la volontà di eliminare le prove libere e di voler modificare ancora il format aggiungendo più sprint race: leggi qui. Per come concepiamo ora questo sport sarebbe una follia eliminare le prove libere, si andrebbe a togliere un punto cardine essenziale di questo sport: la ricerca della perfezione e dei record in pista. Non si avrebbe la possibilità di provare, di osare, di sperimentare. Si creerebbe un ambiente asettico e sicuramente poco ingegneristico. E se fra una gara sprint e l’altra ci fossero delle collisioni? A parte il lavoro frenetico dei meccanici questo vorrebbe dire portarsi da casa più pezzi e quindi aumentare il volume di oggetti da spostare in giro per il mondo. È una soluzione ecologica?
Domenicali attribuisce la necessità di avere più Sprint Race a causa dei giovani e alla loro soglia dell’attenzione così bassa. Non è certo una proposta pensata per poter spezzettare l’evento e aumentare così la possibilità di vendere i diritti, giammai, loro sono persone generose. Ci spiega che quest’idea è venuta fuori dai sondaggi compilati dagli appassionati – mi chiedo quali visto che non ne ho compilato nessuno – e dal fatto che le visualizzazioni degli highlights delle gare sono sempre più viste. A mio avviso però questo comportamento rivela piuttosto che la gara di F1 viene vista dal buco della serratura più che per episodi chiave: gli highlights sono gratis, la gara intera invece si deve pagare.

In questa intervista Domenicali dice che quasi tutti i piloti si sono convinti della bontà di questa idea (vergogna), ne rimangono un paio che ancora resistono. In altre parole, abbiamo ancora due driver che possono essere chiamati tali, gli altri sono pedine nelle mani del padrone senza capacità di critica. Uno dei piloti che resiste si manifesta nelle dichiarazioni del giovedì, e come ovvio che sia è il vecchio Fernando. Nessuno mette in discussione la durata delle partite di calcio o di tennis – giustamente – quindi perché farlo con un momento sacro come la gara di F1. Il problema è dei bambini/ragazzi e della società in sé, non certo di questo sport. E Fernando ha perfettamente ragione, spero per lui che questo cambiamento possa avvenire dopo il suo ritiro.
E qui viene da chiedersi: che cosa vogliono far diventare la Formula 1? Uno show artefatto? In quel caso non servirebbero più gli ingegneri, non ci sarebbe il tempo per studiare e progettare soluzioni innovative, servirebbero solo degli attori che talvolta la sparano grossa (quindi dei TP come Steiner che fanno da “personaggio”). Avrebbe senso continuare ad avere piloti che mettono a rischio la loro incolumità per qualcosa di artificioso? Tanto vale in post-produzione aggiungere gli effetti speciali. Il voler acquisire a tutti i costi nuovi “fan” o visualizzatori di contenuti F1 sta portando Liberty Media a snaturare completamente il prodotto, a favore di una semplificazione del racconto e del caos, così da avere ogni minuto un possibile colpo di scena. Ma in quel caso non vincerebbe più il migliore ma il più fortunato.
In un mondo di Domenicali siate Alonso, sempre.
Crediti foto: F1, Aston Martin
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