L’arrivo di Enrico Cardile in Aston Martin è una scelta strutturale, pensata per ridisegnare il perimetro tecnico e culturale del team in vista dell’imminente reset regolamentare del 2026. Il nuovo Chief Technical Officer lo chiarisce in un’intervista rilasciata ai canali ufficiali del team definendo il suo ruolo in modo chiaro: “Sono responsabile di tutto lo sviluppo dell’auto. Fondamentalmente, su tutte le attività coinvolte nella progettazione dell’auto e nello sviluppo degli strumenti necessari per migliorarne le prestazioni”.
La sua area di competenza attraversa l’intero processo, dal concetto iniziale alla validazione finale, includendo aerodinamica, dinamica del veicolo, CFD e galleria del vento. Non esiste una routine quotidiana, e Cardile lo rivendica come un valore: “Descrivere la quotidianità è più difficile perché non c’è assolutamente una routine. Posso partecipare a discussioni tutta la settimana e vedere come vari progetti stanno maturando e progrediscono”.
In un gruppo che ha concentrato negli ultimi mesi un numero elevato di figure tecniche di primo piano, il rischio non è la sovrapposizione dei ruoli ma, semmai, l’opposto. Cardile parla esplicitamente di integrazione come fattore critico: “Il problema, se mai, è trovare il modo migliore di collaborare, di fondere gli sforzi, invece di lavorare per comparti”. Il punto chiave è il flusso di informazioni che deve essere continuo e ordinato per evitare sprechi di tempo, rilavorazioni e perdita di prestazione.
La sua idea di leadership tecnica è altrettanto chiara. Nelle riunioni, il CTO non deve essere il massimo esperto della stanza: “Ogni volta che sono in riunione, non dovrei essere la voce esperta. Se lo sono, qualcosa sta andando storto”. Il suo compito è un altro: portare visione, chiarezza e decisioni, ponendo le domande giuste al momento giusto. Anche il processo decisionale riflette questa impostazione pragmatica: “Non ho bisogno di avere il 100% delle informazioni disponibili. A volte devi decidere con quello che hai e poi continuare a lavorare sul problema”. Se emergono nuovi dati, cambiare direzione non è un fallimento ma parte del metodo, perché “in definitiva, ciò che conta è vincere”.

Enrico Cardile e la scelta di lasciare Ferrari per Aston Martin
Nel 2025 Cardile è rimasto lontano dai circuiti, concentrato interamente sul lavoro al Technology Campus di Silverstone. La priorità è il progetto 2026. L’impatto con le nuove strutture è stato forte, a partire dalla galleria del vento CoreWeave, che definisce “una tecnologia potente, ma anche un’opera d’arte”. Tuttavia, l’infrastruttura da sola non basta: “Non è semplicemente una questione di girare una chiave. Ottenere il massimo da queste strutture è un grande lavoro”. Il percorso è incrementale, basato su priorità chiare e miglioramenti continui.
La scelta di trasferirsi stabilmente nel Regno Unito rientra nella stessa logica di totale immersione nel progetto. Cardile non usa giri di parole: “Voglio essere completamente impegnato, completamente concentrato, senza distrazioni”. La decisione di lasciare Ferrari, dove ha costruito l’intera carriera, nasce dalla percezione di un progetto con ambizioni reali e da una forte volontà di vincere da parte della proprietà. Il Technology Campus, in questo senso, è per lui una dimostrazione concreta dell’impegno di Lawrence Stroll.
Il confronto con Ferrari mette in luce una differenza sostanziale. A Maranello esiste una struttura storica, con processi e strumenti consolidati. Aston Martin, invece, è in una fase di costruzione. Ed è qui che Cardile individua l’opportunità: “Dobbiamo trovare la nostra identità e usare la nostra visione per modellare l’organizzazione”. Copiare modelli esterni non è un’opzione, perché significherebbe accettare un ruolo da inseguitori. L’obiettivo dichiarato è diventare un riferimento, non una replica.

Il coordinamento con Andy Cowell e Adrian Newey è centrale in questa architettura. Cardile risponde a entrambi, a seconda delle aree di lavoro, e definisce il contesto come “un team incredibile, con persone speciali”. Quando Cowell parla di trasformare Aston Martin in una “macchina creativa e caotica dell’innovazione”, Cardile ne sposa pienamente il senso. Il caos, se gestito, è un acceleratore di idee. Un’organizzazione troppo rigida, al contrario, non porta valore alla prestazione della vettura.
Questa filosofia si innesta direttamente sul progetto 2026, che Cardile descrive come una rottura netta con il presente. Cambia il concetto aerodinamico, cambia la power unit, cambia il carburante, cambia il peso minimo, la larghezza delle gomme e via discorrendo. Le variabili sono molte e le certezze poche. In questo contesto, Aston Martin sta esplorando direzioni anche rischiose: “Ci sono direzioni di sviluppo che potrebbero non portare risultati positivi subito, ma che potrebbero aiutarci a raggiungere obiettivi finali ambiziosi. Stiamo facendo qualche scommessa”.
Il punto, però, è che il 2026 non è visto come un traguardo isolato. Il lavoro sulla monoposto è solo una parte di un progetto più ampio che riguarda strumenti, processi e, soprattutto, cultura. Cardile lo riassume senza ambiguità: “In una parola, stiamo lavorando sulla cultura del team”.
Alla domanda su cosa rappresenti per lui la nuova era della Formula 1, la risposta è semplice: entusiasmo. Non solo per la propria vettura, ma per il confronto complessivo, sapendo che “tutto è in aria” e che non esistono riferimenti consolidati. La fiducia, però, è totale: “Abbiamo impegno, concentrazione e la fiducia che le cose andranno nel modo giusto. Abbiamo tutto ciò che serve per fare un grande lavoro. Il fallimento non è un’opzione”.
Parole misurate, prive di slogan, che delineano con chiarezza il perimetro entro cui Aston Martin intende giocarsi la partita del 2026. Non promesse, ma metodo e una direzione precisa.
Crediti foto: Aston Martin
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