Le parole di Enrico Cardile suonano come una lezione, forse involontaria, ma inevitabile. Dopo anni trascorsi in un ambiente come la Ferrari, dove il talento tecnico a volte – o per meglio dire spesso – si scontra con la burocrazia e la paura di sbagliare, l’ingegnere toscano sembra aver finalmente trovato in Aston Martin un contesto dove l’innovazione può respirare.
“Abbiamo tutto ciò che serve per fare un ottimo lavoro. Il fallimento non è un’opzione”, ha dichiarato Cardile. Una frase apparentemente neutra, ma che assume un significato diverso se letta alla luce delle tensioni e delle rigidità che per hanno segnato la fase conclusiva del suo percorso a Maranello. Alla Ferrari, il concetto di “fallimento” è sempre stato un tabù, ma mai un punto di partenza per migliorare. A Silverstone, invece, diventa un obiettivo da evitare attraverso metodo, coesione e responsabilità condivisa.
Il nuovo chief technical officer della Aston Martin ha spiegato che la squadra “ha obiettivi chiari su ciò che vuole ottenere” e sta facendo “delle scommesse” su linee di sviluppo che potrebbero non dare risultati immediati ma portare benefici strategici nel lungo periodo. È un linguaggio tecnico, ma dietro c’è un messaggio culturale potente: la capacità di accettare il rischio come parte del progresso.
È esattamente ciò che mancava alla Ferrari negli ultimi anni. Ogni passo avanti era soffocato dal timore di sbagliare, ogni idea nuova filtrata da gerarchie e interessi interni. Cardile oggi parla di “fiducia” e “concentrazione”, due parole che descrivono un ecosistema in cui l’ingegnere non è un esecutore, ma un costruttore di visione.
Ma la frase che più di tutte sembra un colpo al cuore della mentalità ferrarista è un’altra: “Non si tratta di chi ha ragione o torto, o di una cultura di incolpare qualcuno”. Qui Cardile non parla solo di filosofia gestionale. Parla di sopravvivenza tecnica. Perché una squadra che vive nel sospetto reciproco non può innovare. E negli ultimi anni, a Maranello, la gestione del fallimento è diventata più importante della comprensione delle cause. Parole che forse sono indicative di un rapporto chiusosi in maniera burrascosa, come narra il mancato accordo sulla durata del gardening che poi ha ha avuto strascichi legali.
In Aston Martin, Cardile ha trovato un contesto in cui la libertà di cambiare rotta non è vista come debolezza ma come evoluzione. “Non c’è niente di sbagliato nel cambiare idea e rotta”, ha detto. Parole che riassumono la differenza tra chi pianifica e chi improvvisa, tra chi costruisce nel tempo e chi insegue un risultato immediato per placare le pressioni interne o politiche.

La sensazione è che Cardile non stia solo disegnando una nuova Aston Martin insieme ad Adrian Newey, Andy Cowell e agli altri tecnici di primo piano ingaggiati da Lawrence Stroll, ma anche un nuovo modo di fare Formula 1. Uno basato su una cultura tecnica collettiva, su una leadership distribuita, su un equilibrio tra visione e sperimentazione. È la cultura che la Ferrari ha progressivamente smarrito nel suo percorso di corporate racing: un modello aziendale che ha ingabbiato il genio dei suoi tecnici e bruciato figure di valore in nome della stabilità apparente.
Quando l’Aston Martin AMR26 nascerà, non sarà solo una nuova monoposto: sarà il primo vero test per misurare quanto l’ambiente possa incidere sul rendimento di un tecnico di livello. Perché se Cardile dovesse riuscire a trasformare la filosofia che oggi esprime in risultati concreti, la domanda per Maranello diventerebbe inevitabile: la Ferrari ha perso un ingegnere o ha perso il suo futuro?
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP, Aston Martin
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