Senna Day – “Motorsport is dangerous”, ammoniscono gli inglesi sui biglietti di ingresso alle corse motoristiche. I piloti – è nel loro DNA – cercano il limite, ma il limite è una medaglia la cui altra faccia si chiama rischio: una componente inamovibile delle corse.
Un appassionato di motorsport dovrebbe essere familiare all’idea che il suo beniamino possa morire durante un weekend di gara. Un’idea che, suo malgrado, deve accettare. Ma se a morire fosse il migliore di tutti? E se quella morte avvenisse non per semplice fatalità, ma per grave, intollerabile superficialità? Sarebbe ancora accettabile quell’idea?
Retroscena dell’incidente
Quella stagione di Formula 1 (parliamo del 1994) era cominciata male per Ayrton Senna. Nell’ambiente c’era il forte sospetto che fossero alcune diavolerie elettroniche a rendere velocissima la Benetton di Schumacher. La Williams di Magic, invece, appena privata delle sospensioni attive, sembrava capricciosa, nervosa, ostica perfino per l’asso brasiliano.
I primi due gran premi si conclusero allo stesso modo: Schumacher primo, Senna ritirato.
Poi arrivò quel maledetto gran premio di Imola: una sequenza di gravi incidenti scandì quei tre giorni come inesorabili, tetri rintocchi che portarono al colpo finale di un destino beffardo: la morte di Senna.
Ayrton non riusciva a guidare quella Williams come voleva: il volante era di diametro ridotto per evitare che le mani sfregassero continuamente contro la scocca. All’epoca, nel team inglese, Patrick Head era il responsabile tecnico e Adrian Newey era il progettista. Il volante troppo piccolo nascondeva la strumentazione sul cruscotto. Il pilota brasiliano chiese una modifica allo sterzo, modifica che venne fatta sul posto…
![Senna Day](https://www.formulacritica.it/wp-content/uploads/2024/05/Senna-Imola-750x375.webp)
Analisi dell’incidente
Semaforo verde. Senna conduceva la gara, Schumacher inseguiva. Al settimo giro, il brasiliano stava percorrendo la piega del Tamburello ad una velocità di circa 310 km/h quando, alle 14:17, la sua vettura prese improvvisamente la tangente della curva.
La telemetria mostra come, in quel momento, i newton metri di coppia applicata allo sterzo decrescano (cosa assolutamente anomala, visto che il Tamburello era un curvone). La pressione idraulica del servosterzo, dopo un picco, comincia anch’essa a scendere: in pratica, lo sterzo non risponde più ai comandi del pilota. L’accelerazione laterale scende da 3,62 g a 0,33 g: come a dire che la vettura non sta più curvando. L’andamento della velocità mostra il disperato tentativo del pilota di frenare, ma ormai è troppo tardi. La via di fuga, lì, è risicatissima: Magic riesce a ridurre la velocità fino a 211 km/h (accelerazione longitudinale di -4,34 g) prima di impattare contro il muretto del Tamburello con un angolo di circa 22 gradi.
Quell’angolo di impatto è sufficiente per dissipare una buona parte di energia cinetica.
Infatti, nei primi secondi, l’incidente non sembrò di quelli mortali: tutti si aspettavano di vedere il casco giallo muoversi, il pilota alzarsi, semmai furioso, magari malconcio, forse stordito, al massimo dolorante, ma sui propri piedi. E invece non andò così. Ayrton non si alzò mai più da quell’abitacolo. Non riprese mai più conoscenza. Infine morì.
Anche il migliore può morire. Motorsport is dangerous. L’acuminata punta del braccetto della sospensione anteriore destra perforò il casco nell’unico punto vulnerabile, tra la calotta e la guarnizione in gomma della visiera, trafiggendo il cranio di Magic.
![Senna Day](https://www.formulacritica.it/wp-content/uploads/2024/04/Senna-INCIDENTE-jpg.webp)
Causa dell’incidente
Angelo Orsi, noto fotografo nell’ambiente della F1, scattò una foto che si rivelò, poi, illuminante: a terra, di fianco alla monoposto incidentata e a una chiazza di sangue del povero Senna, v’era poggiato lo sterzo della Williams FW16-Renault con un moncone del piantone attaccato!
La modifica estemporanea di cui parlavamo prima non aveva retto alle sollecitazioni del circuito del Santerno. Un tubo saldato al piantone, un misero tubo -si seppe dopo- con cricche da fatica e segni di ruggine, batté il ciak della tragica sequenza di morte.
Così quel volante, mille e mille volte ammaestrato dal brasiliano, divenne un comando completamente inutilizzabile tra le sue mani, insensibile al suo tocco, refrattario alla sua volontà.
Quel giorno, l’enorme, imperdonabile leggerezza umana aprì ingenuamente la porta ad una perfida fatalità, che entrò, spietata, per portarci via uno dei più grandi piloti di sempre.
La fatalità è fuori dal controllo umano, ma la leggerezza è evitabile e deve essere evitata, soprattutto in uno sport dove il rischio corre in pista contro il pilota e, a volte, lo batte.
Crediti foto: F1, Williams
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