Un tempo, una delle cose che raccontavo con più orgoglio della F1 era il fatto che, sulla stessa tribuna o sullo stesso fazzoletto di prato, potessero coesistere pacificamente individui appartenenti a tifoserie diverse. A fine gara ci si ritrovava tutti sotto al podio ad applaudire i tre piloti lì in alto: ognuno di loro, in fondo, aveva messo a rischio la propria vita per offrire quello spettacolo eseguito sul limite dell’aderenza tra gomma e asfalto, affrontando una fisica le cui leggi, no, non possono essere sconfitte, ma impavidamente sfidate, quello sì!
Parlavo di orgoglio. L’orgoglio di far parte di un “popolo” nettamente differente da quello del calcio. Ma di quest’orgoglio, oggi, noi tifosi del motorsport non possiamo più fregiarci. La violenza, la cafonaggine e l’ignoranza hanno contagiato anche il tifo della Formula 1.
Wikipedia definisce in questo modo il termine “tifo”: “The tifo è un fenomeno sociale per cui un individuo, oppure un gruppo, si impegnano a sostenere con entusiasmo la partecipazione di un atleta o di una squadra in una determinata disciplina”. Non mi pare che la parola “entusiasmo” abbia qualcosa a che fare con le parole “violenza”, “insulto”, “volgarità”. Ma andiamo avanti: “Lo sviluppo della passione del tifo in un individuo è generalmente riconducibile all’ambiente sociale in cui egli interagisce”.
![F1](https://www.formulacritica.it/wp-content/uploads/2024/02/F1-tifosi-Ferrari-750x375.webp)
F1 appiattita su un contesto sociale critico
Ecco, forse, il fulcro della questione: l’ambiente sociale. Un ambiente sociale, quello attuale, che mi limito a definire degradato, non volendo sfociare in una discussione che esula dal tema trattato in questo articolo.
E’ evidente che certe “menti semplici” sguazzino nel piattume generale, nell’ignoranza dilagante, nel pressapochismo, nel qualunquismo e in tutti gli altri mali che stanno affliggendo l’italico popolo, come maiali che si rotolano compiaciuti nel fango. Non solo: è altrettanto evidente che tali “menti semplici” si lascino aizzare facilmente , anziché utilizzare la materia grigia che sicuramente anch’essi avranno nel cranio (se non altro per espletare le primarie funzioni vitali).
Ed allora è su queste “menti semplici” che attecchisce il giornalismo populista, sensazionalista, superficiale, “complottaro”, che brama consensi e click e che, per ottenerne, fornisce un’informazione fortemente scorretta, laddove non vergognosamente distorta. Un’informazione che spesso usa titoli palesemente fuorvianti, perché tanto bastano quelli per attirare i commenti da bar sui social, fa niente se poi l’articolo abbia un senso completamente diverso.
Sono i “giornalai” da quattro soldi (con tutto il rispetto per chi i giornali li vende) ad aizzare enormi greggi di pecore belanti che ogni giorno invadono i social, procurando nausea a chi i social vorrebbe utilizzarli per discutere in maniera civile e costruttiva.
Troppi giornalisti danno un pessimo esempio della loro professionalità, minando il prestigio della categoria, rendendosi indecorosi e ipocriti pastori che incitano le pecore ad emettere assordanti belati, pastori di grezze greggi inconsapevolmente plasmate, fomentatori di folli folle miseramente guidate all’odio, all’insulto, alla violenza.
Troppi giornalisti fanno leva sugli analfabeti funzionali (circa un quarto della popolazione italiana – indagine Piaac – Ocse del 2019) per ottenere caterve di commenti dalla grammatica sconquassata e dalla logica di un minus habens, click, views, flame e tutto ciò che è caro al peggior giornalismo “internettiano”.
Cosa si può fare per “elevare” le greggi belanti e professionalizzare i loro “pastori-giornalai”? Cambiare l’ambiente sociale di cui si parlava? No, servirebbe un miracolo. Pretendere da tutti i giornalisti un’etica deontologicamente corretta? Sì, questa è una pretesa legittima, visto che l’informazione si rende in parte artefice e pienamente complice di questo degrado!
Photo Credits: F1