C’è un sottile (ma netto) scambio di stile – e di visione – dentro la Ferrari. Da una parte John Elkann, presidente del Cavallino Rampante, che nella giornata di ieri ha scelto la via della ramanzina pubblica, sottolineando come “i piloti debbano pensare meno a se stessi e più al team”. Dall’altra, Charles Leclerc e Lewis Hamilton che hanno risposto (più o meno direttamente) con quella misura, quella classe e quella lucidità che spesso mancano ai vertici di Maranello quando si tratta di gestire le tempeste.
Le parole di Elkann arrivano in un momento delicatissimo: la Ferrari esce dal Brasile con un bottino magro che complica le cose nella classifica Costruttori: da un potenziale secondo posto, Maranello scivola fuori dal podio. Ma il tono del presidente ha lasciato il segno, perché è apparso più come un dito puntato che come un gesto di coesione. “Devono pensare meno a se stessi” è una frase che pesa, soprattutto se rivolta a due piloti che, in modi diversi, stanno dando tutto in una macchina debole e un un team incompiuto.

Ecco perché il tempismo con cui Leclerc e Hamilton hanno affidato ai social i loro pensieri non può essere casuale. Leclerc, in particolare, ha scelto un messaggio di grande maturità: “È un momento critico della stagione… È chiaro che solo l’unità può aiutarci a cambiare le cose”. Un passaggio che suona come un elegante e chiaro promemoria: la forza di una squadra si costruisce insieme, non con le frecciate dall’alto. Il monegasco non si è difeso, non ha attaccato: ha riportato l’attenzione sul collettivo, mostrando di aver compreso meglio di chiunque altro il senso profondo della parola unità.
Poi c’è Hamilton. “I back my team. I back myself. I will not give up. Not now, not then, not ever”. È una dichiarazione che racchiude l’essenza del campione in difficoltà ma che non ha intenzione di mollare. Un manifesto personale che suona anche come un messaggio in codice per chi, come Elkann, sembra aver dimenticato che i piloti non sono semplici ingranaggi, ma uomini che vivono la pressione di un mondo intero sulle spalle.
Entrambi hanno reagito con classe, evitando lo scontro diretto ma restituendo una lezione di stile e leadership. Hanno scelto di parlare con la forza dei concetti e non con l’arroganza delle accuse. Ed è qui che emerge la contraddizione più grande di questa Ferrari: il suo presidente invoca unità, ma lo fa dividendo; i suoi piloti rispondono uniti, senza alzare la voce.

In fondo, la vera differenza sta tutta lì: nella capacità di costruire invece di demolire, di ispirare invece di giudicare. Hamilton e Leclerc hanno dimostrato che si può reagire a una critica con eleganza, ricordando a tutti – e forse anche ai piani alti di Maranello – che la grandezza non si misura con le parole dure, ma con la dignità dei gesti.
Se la Ferrari vuole davvero ritrovare se stessa, dovrà ripartire proprio da questo: dalla sobrietà, dal rispetto, dall’intelligenza emotiva che i suoi piloti hanno saputo mostrare in un momento di tensione. Perché il Cavallino, prima ancora di correre veloce, deve imparare di nuovo a muoversi con grazia.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
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