Il Times celebra Eddie Jordan, imprenditore e manager irlandese, storico patron della scuderia che portava il suo nome, la Jordan, scomparso lo scorso giovedì 20 marzo dopo una lunga malattia, disegnando un ritratto della sua vita fatta di tocchi di genio e scelte folli.
Gli inizi e le difficoltà finanziarie
Eddie Jordan debuttò come proprietario del team omonimo con uno scoperto di 5 milioni di sterline, affrontando costantemente problemi economici. Un episodio emblematico è quello del Gran Premio del Belgio a Spa-Francorchamps, quando le sue monoposto furono sequestrate dagli ufficiali giudiziari per debiti.
Jordan, con l’aiuto di Bernie Ecclestone, riuscì a risolvere la situazione in modo creativo: l’imprenditore britannico inviò un motociclista a raccogliere i soldi dei biglietti d’ingresso al circuito, che Jordan utilizzò per saldare i creditori.
Un altro aneddoto curioso riguarda la squalifica di Jarno Trulli al Gran Premio degli Stati Uniti del 2001: il patron pagò la multa in contanti con una valigia piena di dollari, ma le banconote erano così vecchie da non essere più in corso legale, evidenziando il suo approccio non convenzionale anche nelle difficoltà.

Il talento e il caos
Eddie Jordan è descritto come un uomo che “amava il caos e odiava la noia”. Gestiva il team con un approccio improvvisato: prenotava voli e hotel all’ultimo minuto e, se si ritrovava in economy, si intrufolava in business class nascondendosi in bagno pur di viaggiare comodo.
Questa follia si rifletteva anche nella sua capacità di scoprire talenti: fu lui a lanciare Michael Schumacher, che all’esordio, si ritrovò a dormire in un ostello trasandato accanto al manager Willi Weber, separato da un sottile muro di truciolato dallo stesso Jordan.
Nonostante le ristrettezze, il manager irlandese trasformò la sua casa vicino a Silverstone in una pensione per piloti come Martin Brundle, mostrando il suo pragmatismo.
Il “Piranha Club” e il glamour
Jordan prosperava nel cosiddetto “Piranha Club”, l’ambiente competitivo della Formula 1 fatto di rivalità e ambizione. Odiava il dominio delle multinazionali e incarnava lo spirito genuino delle corse, con “il petrolio nelle vene”. Col tempo, il suo team attirò figure leggendarie come George Harrison dei Beatles e Nick Mason dei Pink Floyd, che si ritrovarono nel camper dell’imprenditore, segno del fascino che il suo carisma esercitava.
La vendita e l’eredità
Dopo 15 anni dalla sua nascita il team venne venduto a un oligarca russo, Alex Shnaider, su consiglio di Ecclestone, che lo mise in guardia Jordan del rischio bancarotta. Partito da zero, chiuse la sua avventura con una fortuna stimata in 80 milioni di sterline, pur dichiarando di essersi pentito della vendita.
Il Times lo celebra come un genio folle, un imprenditore che ha rischiato tutto, denaro, reputazione e stabilità, per lasciare un segno indelebile nella Formula 1, distinguendosi in un’epoca ormai lontana dal pragmatismo moderno dello sport.
L’articolo sottolinea come questo personaggio incredibile incarni un’era romantica e caotica di questo sport, fatta di intuizione, coraggio e un pizzico di pazzia, rendendolo una figura unica e irripetibile.
Eddie Jordan era l’ultimo rappresentante di una generazione di self-made men nel motorsport, accanto a nomi come Colin Chapman, Ron Dennis e Frank Williams, che hanno trasformato la Formula 1 con la loro audacia e visione.
Crediti foto: Eddie Jordan