La narrazione popolare della F1 ha un serio problema: il doppiopesismo. Parole pronunciate o azioni compiute vengono descritte e interpretate diversamente a seconda del pilota o del personaggio in questione. Un esempio? Ricciardo. Per qualsiasi altro pilota la maggior parte di noi chiederebbe a gran voce il licenziamento.
Le prestazioni sono scarse, non si può negarlo, e il compagno di squadra con cui si misura non è proprio il “Senna giapponese” – ma neanche il Ricciardo dei tempi d’oro. Red Bull gli ha dato – giustamente – una possibilità, probabilmente influenzata da quell’ultima vittoria a Monza. Possiamo speculare che a Ricciardo non manchi tanto la velocità quanto la motivazione, cosa che forse neanche lui riesce a spiegarsi del tutto. Ma è una realtà che prima o poi dovrà accettare e con cui dovrà fare i conti.
Nessuno tra gli autorevoli commentatori, però, solleva la questione. Neanche Helmut Marko dice nulla, probabilmente tenuto sotto narcotici dopo il rinnovo di Sergio Perez.
La prima – e probabilmente ultima – voce critica è quella di Jacques Villeneuve, che con la sua solita delicatezza si chiede cosa ci faccia ancora Ricciardo in F1. È un pilota che vive nel mito di ciò che fece in Red Bull, ma stiamo parlando di qualche vittoria, non di mondiali.
Anche Webber vinse gare in Red Bull e si giocò un mondiale nel 2010, ma a Milton Keynes non gli hanno intitolato una strada. Per Villeneuve – e anche per chi scrive – è l’immagine che permette a Ricciardo di rimanere in F1 più che i suoi risultati. Questo è un fatto incontrovertibile: le gare sono registrate, i punti contati. Villeneuve aveva analizzato un fatto. Stupisce quasi che sia l’unico a farlo.
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La replica di Ricciardo a queste parole dimostra come Villeneuve abbia ragione: “Non so ancora bene cosa abbia detto, ma ho sentito che ha detto delle cazz***, ma lo fa sempre. Credo che abbia battuto la testa un po’ troppe volte, quindi non so se gioca a hockey su ghiaccio o altro. Può andare a farsi fott***. Vorrei dire di più, ma va bene così”. In pratica non ribatte mai sul merito della critica, salvo accennare di essere nelle qualifiche in Canada a 2 decimi dalla pole – che su quella pista è un’eternità.
Se gli unici argomenti che si portano sono gli insulti, allora Villeneuve ha colpito nel segno, e il problema non sono più le prestazioni del pilota in sé quanto l’incapacità di stare in un contesto e gestire le eventuali critiche. Villeneuve può esprimere opinioni non condivisibili, ma rimane comunque il campione del mondo Formula 1 1997 e vincitore della 500 di Indianapolis. Un po’ di rispetto non farebbe male.
Incredibilmente, però, Villeneuve attacca e Ricciardo è il povero cucciolo di panda che va difeso. Perché? Perché ai media e al pubblico è simpatico. A fine gara del Canada si è verificato un fatto che è totalmente passato sotto traccia. Hamilton lascia la sua W15 all’ingresso della pit lane senza replicare al team radio di Wolff, senza che la macchina avesse alcun problema.
Chi scrive comprende perfettamente la frustrazione di Lewis , che ormai si sente – ed è nei fatti – un separato in casa. È inevitabile che lo sia, forse poteva essere evitato da entrambe le parti, ma tutto ciò è causato da una mancanza di fiducia che è improvvisamente sparita dopo il 2021.
F1: cambiano i protagonisti, mutano le narrazioni
La situazione è scomoda, ma sempre meno rispetto al ritrovarsi un weekend sì e l’altro pure col motore arrosto e con 100 CV in meno. Alonso e Button potrebbero raccontarcelo, potrebbero dirci che parlare con Honda – non quella di oggi – fosse come parlare al muro. Nel 2016 uscì un documentario sulla McLaren Honda e si poteva vedere chiaramente come le due realtà non fossero minimamente amalgamate. I tecnici Honda avevano persino i loro strumenti di misura, non si fidavano di quelli McLaren!
Chi venne messo in croce? Alonso, of course – per un team radio, “GP2 engine”. Non pensavamo tutti che la Power Unit Honda facesse pietà? Sì. È vero che la Honda progettò da capo la PU almeno due volte a causa di concetti fallimentari tipo il “size zero”? Sì. Bene, quindi se Alonso dice la verità non va bene? Perché in Canada 2015 non avrebbe dovuto dire che sembravano degli amatori se, di fatto, lo erano?
Si dice che non sia segno di professionalità. Quella che ha avuto Hamilton nel piantare la macchina a inizio pit lane, suppongo. Canada 2014: “Con questo cetriolo sui rettilinei non si va da nessuna parte”, Vettel – la gara venne vinta dal suo compagno di squadra Ricciardo; Baku 2017: Vettel sperona Hamilton per un fantomatico brake test mai dimostrato; Messico 2016: “Fuck off Charlie”, team radio di Vettel.
Questa non vuole essere una difesa di Alonso – chi scrive lo tifa senza vergogna – ma piuttosto una riflessione su come i media abbiano dei “filtri” di lettura differenti, probabilmente anche a seconda di come il pilota o la persona si ponga in maniera più o meno simpatica verso di loro.
Lo fa anche la stessa Liberty Media trasmettendo i team radio, per creare una sorta di spettacolarizzazione (del nulla) facendo ascoltare frasi decontestualizzate e nella concitazione del momento – con tutta l’adrenalina in corpo. Trovo poco rispettoso ridurre certi piloti a “macchiette dei team radio”, quando invece hanno tanto di più da offrire.
![Fernando Alonso](https://www.formulacritica.it/wp-content/uploads/2024/06/Fernando-Alonso-jpg.webp)
Non se la passa meglio il suo connazionale Sainz. Ha tre gravi colpe: voler arrivare davanti al compagno di squadra (“mai sentito questo”, semicit.); essere stato assunto da Binotto (attuale causa di tutti i mali del mondo); avere un padre importante che sa fare i tuoi interessi (tipo farti cambiare l’ingegnere di pista se non c’è feeling e non fartelo tenere per 5 stagioni). Sono tutte colpe gravi, soprattutto la prima, e mi stupisce che ancora possa girare per il paddock impunito senza l’Interpol alle costole.
Il “malvagio” Carlos sta correndo da “licenziato in casa”, ragione per la quale non gliene frega nulla di portare avanti la narrazione dei nuovi aggiornamenti che porteranno a raggiungere Red Bull. Quindi nello scorso weekend canadese ha risposto tranquillamente ai giornalisti che il pacchetto di aggiornamenti non avrebbe risolto i problemi a scaldare le gomme nel giro secco. E Il Gp di Spagna lo ha confermato È stato ovviamente dipinto come un “rosicone”, è stato detto che nessun team lo cerca perché crea un brutto clima… e chi vi ricorda? Tra l’altro curioso che il brutto clima si crei solo in Ferrari.
La parte mainstream della stampa è come una penna velenosa: scorre velocissima per mistificare qualcuno, e per altri molto spesso la trovi vuota d’inchiostro. Il tempo in questi casi è sempre galantuomo.
Crediti foto: F1