Nel giorno in cui il mondo del motorsport ricorda Niki Lauda, abbiamo scelto di riproporre uno scritto che avevamo pubblicato in occasione dell’anniversario della sua scomparsa, avvenuta il 20 maggio 2019. Un tributo sentito a una figura leggendaria che ha lasciato un segno indelebile non solo in Formula 1, ma nello sport in generale. Le parole che seguono vogliono essere, ancora una volta, un omaggio alla forza, alla determinazione e all’intelligenza di un campione capace di rinascere dalle proprie ceneri e riscrivere la storia. Ripercorrere la sua vita significa celebrare un uomo che ha superato ogni limite, in pista e fuori.
Niki Lauda: elogio di una follia che ha scelto la ragione
Niki se la ride da lassù, con un ghigno beffardo celato dall’ombra del suo cappellino rosso. Un colpo di tosse rauco serve a fargli provare nuovamente la sensazione di essere vivo, in barba ai suoi malconci polmoni, bruciacchiati al pari del suo viso. Perché non è diventato un angelo nemmeno nell’aldilà: il suo volto rimane lo stesso, al pari del suo sarcasmo adorabilmente cinico.
Niki sorride ripensando alla vita di laggiù, a quel turbinio fatto di ruote e di metalli, di velocità e di passi frenetici condivisi con sorella morte. Una ballerina esigente, alla quale bastava pestare un piede per ritrovarsi fuori traiettoria, nella danza macabra che preludeva alla fine. Qualche volta era il fumo, acre, pungente, che conservava l’odore malsano della benzina miscelata alle lamiere. Altre volte era il rumore, il clangore di uno schianto rapido, in grado di stordire l’udito.

Per lui era stato il fuoco, dirompente, avvolgente: da non lasciare scampo. Non vuole ricordare l’attimo dell’impatto, ma non può dimenticare la fiamma che lo avviluppa e lo contorce, sintesi perfetta di ciò che desiderava e ha perseguito con ogni mezzo. Il ragioniere, il rischio calcolato, il pilota privo di emozioni? Tutte stronzate raccontate per definire Lauda, la mente teutonica forgiata nel calcolo. Ma Niki era diverso.
Introverso a tratti, scomodo in linea di massima, mai prevedibile. Come può essere definito ordinario un ragazzo che ha lasciato agi e certezze per trovarsi in balia di una passione potenzialmente letale? Le biografie lo mistificheranno, con una sentenza dei posteri che non è per nulla ardua, ma solamente riduttiva. In quegli anni per correre non bastava la testa, ci voleva il cuore, serviva la follia.
Niki non si atteggiava, rimaneva all’interno del proprio orizzonte, definito nella sua corazza. Imperscrutabile ai più, poco empatico per molti. Eppure capace di narrare, a colpi di volante, una delle sfide più appassionanti dell’automobilismo. Nei panni dell’antieroe, dello sfidante coriaceo, nonostante gli eventi che avrebbero potuto renderlo martire. Ma l’austriaco era fatto di un’altra pasta e non cercava facili consensi: meglio le critiche, davano più pepe alla vita.

Così ha lasciato che il mondo della F1 consacrasse Hunt, il genio ribelle, tutto talento e sregolatezza. Ha permesso che James diventasse campione, comprendendo forse che il suo canto era destinato a essere come quello di un cigno, splendente e unico. Niki in disparte, in balie delle paure, dell’incertezza, di tutte quelle variabili che rendono umano un pilota e ce ne fanno innamorare, spalancando le porte al mito.
Porte che si chiudono sbattendo, come quella di Maranello, porte che si riaprono con un ritorno imprevisto e con un titolo vinto per un’inezia. Niki era così, ragionevole e vulcanico, pronto a lasciare, pronto a stupire. Con Enzo una ferita aperta, sanata in parte, per quanto lo ha consentito l’orgoglio di entrambi, nella chiave del rispetto reciproco. E forse di un’affinità ancestrale decodificata solo a stralci, ma abbastanza potente per unirli in un per sempre.
Poi sarebbero arrivati i voli, il cielo azzurro al posto dell’asfalto scuro, le nubi bianche al posto delle fumate nere. Un altro modo per riconoscersi e per continuare il percorso a cavallo dei sogni. Naturalmente senza ammetterlo, trasformandolo in un business, perché Lauda non si può smentire e non può permettersi capricci dell’anima.

Le ultime immagini sono a bordo pista, con l’immancabile cappellino rosso, nonostante sia un uomo Mercedes: Il deus ex machina capace di consigliare Hamilton, regalandogli una carriera senza eguali; il pilastro del paddock, capace di stare allo scherzo e di farsi sfilare il berretto da Vettel, sorridendo come un ragazzino. Qualche critica causticamente bonaria sui ferraristi “mangia-spaghetti“, la voce di un saggio che non sa essere banale. Un arrivederci che lo conferma e lo consegna al ricordo.
Ci ha detto addio in una notte di maggio di sei anni fa, poco prima del Gran Premio di Monaco, con i piloti che facevano a gara per omaggiarlo nel budello di curve strette del Principato. Caschi in memoria e un saluto commosso, smosso dai singhiozzi e da qualche lacrima che faceva capolino, complice il cielo grigio. Niki osservava da lassù, in un compiaciuto silenzio, e ha deciso di accomiatarsi a modo suo, sfilandosi il cappellino. In onore di chi corre ancora, in onore di chi si emoziona a veder correre ancora.
Crediti foto: Niki Lauda
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