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Home Editoriali

La Formula 1 e il paradosso della memoria: tra nostalgia tattica e amnesia programmata

Le parole di Domenicali sulla memoria dei giovani tifosi rivelano il paradosso della F1 moderna: uno sport che cancella la sua storia per inseguire il profitto.

Pietro Ginechesi by Pietro Ginechesi
4 Ottobre 2025
in Editoriali, News
Tempo di lettura: 6 minuti
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stefano domenicali fernando alonso felipe massa luca cordero di montezemolo
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In una recente intervista, il CEO della Formula 1 Stefano Domenicali ha pronunciato – riguardo il futuro del Gran Premio di Imola – parole che meritano una riflessione ben più profonda di quanto lui stesso probabilmente intendesse. Parlando della storicità dei circuiti, ha dichiarato:

“Ovviamente se un Gran Premio ha questo valore di storicità è un qualcosa di più però non è sufficiente. Quello della storicità può essere un elemento importante per chi come me segue la F1 fin da bambino, ma per i nuovi tifosi che vengono a seguire la F1 c’è una grande capacità di voltare pagina e passare oltre le notizie. La capacità di dimenticarsi chi ha vinto l’anno prima è altissima e per tanti giovani che seguono la F1 oggi andare a correre a Montecarlo piuttosto che sul nuovo circuito di Las Vegas è indifferente. La storicità deve essere sostenuta dall’essere una struttura che guarda al futuro e che dia la possibilità di investire a livello di infrastrutture”.

Ciò che balza immediatamente all’occhio non è tanto il destino di Imola, quanto la lucida – e forse inconsapevole – ammissione di un problema culturale ben più grave. Domenicali sta descrivendo una generazione per cui il passato non solo è irrilevante, ma semplicemente non esiste. Una generazione in cui la soglia temporale della memoria si è talmente assottigliata che mezz’ora fa è già preistoria. E il paradosso è evidente: questa memoria estremamente labile e volatile è esattamente ciò di cui ha bisogno la Formula 1 moderna per prosperare, per continuare a spingere milioni di persone a seguire uno sport che ha passato tutta la sua esistenza a lottare per farsi riconoscere come tale.

Ci ricorderemo del Domenicali ferrarista o del Domenicali che sta reinventando la F1?

Stefano Domenicali, prima di essere CEO della Formula 1, prima di guidare Lamborghini e di ricoprire ruoli apicali in alcune delle aziende più prestigiose al mondo, è stato un uomo di Formula 1 nel senso più puro del termine. È cresciuto in Ferrari, ha scalato i ranghi fino a diventare Team Principal della Scuderia, vivendo da protagonista l’ultima era vincente del Cavallino Rampante. Fu lui a guidare la Ferrari nello sciagurato 2008, quando il titolo mondiale sfumò nelle mani di Felipe Massa per un solo punto, in circostanze che ancora oggi alimentano polemiche e teorie. Quando i risultati cominciarono a mancare, la Ferrari – con la spietatezza che contraddistingue il circus – lo allontanò. Da lì iniziò una seconda carriera, prima in Audi, poi in Lamborghini, fino al ritorno trionfale al vertice della Formula 1.

Oggi Domenicali appare come una persona totalmente differente. I giovani di cui lui stesso parla, quelli a cui la F1 contemporanea si rivolge con sempre maggiore insistenza, probabilmente non sanno chi sia davvero. Non conoscono la storia dell’uomo dietro il faccione sorridente che stringe mani a miliardari, sceicchi e celebrità hollywoodiane nei paddock scintillanti di Miami, Las Vegas e Abu Dhabi. E qui sorge spontanea una domanda destinata a rimanere senza risposta per anni: Domenicali sarà ricordato come il Team Principal Ferrari o come il CEO che ha trasformato la Formula 1 in qualcosa di irriconoscibile, cancellando progressivamente la sua identità storica?

La memoria è ciò che siamo (e può aiutarci a diventare ciò che saremo)

La memoria non è solo nostalgia. È lo strumento fondamentale che ci permette di imparare, crescere, evitare di ripetere gli stessi errori. In Formula 1, questo principio ha trovato la sua massima espressione nel campo della sicurezza. La tragica scomparsa di numerosi piloti nel corso dei decenni – da Jim Clark a Ayrton Senna, passando per Gilles Villeneuve, Ronnie Peterson, Jules Bianchi e troppi altri – ha spinto la Formula 1 a migliorarsi costantemente sul fronte della sicurezza, riducendo enormemente i rischi in pista.

Eppure, paradossalmente, proprio l’enorme successo di queste misure ha creato un nuovo problema. La memoria degli incidenti mortali si è progressivamente sbiadita. I piloti di oggi corrono senza il peso ancestrale della paura, concedendosi manovre che un tempo sarebbero state considerate suicide. Da questo punto di vista, l’assenza di memoria del rischio ha reso i piloti meno consapevoli del pericolo reale, trasformando il rischio di morte da spettro concreto a semplice azzardo sportivo, un modo come un altro di fare zero punti. È il prezzo del progresso: dimenticare quanto si è sofferto per arrivarci.

La memoria è marketing: vendiamo magliette, biglietti e like sui social

La Formula 1 sa perfettamente come sfruttare la memoria quando fa comodo. Basta osservare le migliaia di iniziative dedicate ad Ayrton Senna: un po’ di verdeoro qua e là, una citazione ben piazzata, una livrea speciale, ed ecco che i like sui social si moltiplicano, le magliette volano dagli scaffali e i fan accorrono in massa. Sono persone nostalgiche di qualcosa che non c’è più, di un’epoca che percepiscono come più autentica, più vera. E la Formula 1 è apparentemente proprietaria di quei ricordi, li gestisce, li somministra con precisione chirurgica quando serve alimentare l’engagement o giustificare un aumento di prezzo.

La memoria diventa quindi un asset commerciale, una risorsa da estrarre e monetizzare. Non è più una componente organica dell’identità dello sport, ma uno strumento di marketing accuratamente calibrato. E questo rivela la natura profondamente transazionale del rapporto tra la Formula 1 moderna e la propria storia.

La memoria è comodità: ci dimentichiamo di pagare le tasse o che ci hanno regalato un attico con vista sul Colosseo

La memoria è selettiva. È un archivio da cui prendiamo solo ciò di cui abbiamo bisogno, mentre le cose scomode le nascondiamo in fondo a cassetti polverosi, facendo finta che non esistano. Come quel cassetto della cucina pieno di cianfrusaglie che nessuno ha il coraggio di sistemare.

Prendiamo il Crashgate del 2008: una delle pagine più vergognose della storia della Formula 1, un incidente orchestrato deliberatamente per favorire un pilota, una manipolazione che ha falsato un intero Gran Premio e potenzialmente il campionato. Eppure è stata quasi completamente cancellata dalla narrativa ufficiale dello sport. Solo pochi irriducibili continuano a lottare per riportare quella memoria a galla, per ottenere una qualche forma di giustizia postuma. Ma alla Formula 1 non conviene ricordare. È più semplice voltare pagina.

Allo stesso modo, la Formula 1 sta progressivamente cancellando la storia dei circuiti storici europei. Perché? Perché rappresentano una memoria “cheap”, una memoria legata a tifosi che scavalcavano le recinzioni per non pagare il biglietto, che si cucivano le bandiere in casa, che andavano a vedere la gara al bar del paese. Insomma, persone che non fanno comodo perché non sono abituate a vedere la Formula 1 come un prodotto di lusso da consumare, ma come una passione viscerale da vivere. Meglio Las Vegas, dove il biglietto più economico costa quanto uno stipendio medio e il pubblico è composto da turisti facoltosi in cerca di intrattenimento premium.

La memoria è muscolare: facciamo cose in automatico, come continuare a seguire uno sport che sta cambiando pelle

C’è infine la memoria muscolare, quella che ci fa compiere gesti in automatico, senza pensarci. È la memoria che ci fa continuare a seguire la Formula 1 ogni domenica, anche quando ci rendiamo conto che lo sport che amiamo sta diventando qualcosa di diverso, forse di irriconoscibile. Continuiamo a guardare per abitudine, per quella connessione emotiva costruita negli anni, anche quando il prodotto che ci viene offerto non corrisponde più a quello che ci aveva fatto innamorare.

È la forza dell’abitudine che mantiene in vita il legame, mentre la Formula 1 conta proprio su questa inerzia per operare la sua trasformazione senza perdere il pubblico storico. Almeno non tutto, non subito.

La memoria ci invoglia a creare nuovi ricordi

Il paradosso della Formula 1 contemporanea è che sta costruendo il suo futuro sulla sabbia dell’oblio. Attrarre un pubblico giovane privo di memoria storica può funzionare nel breve termine, può gonfiare gli ascolti e riempire i paddock di celebrità. Ma uno sport senza memoria è uno sport senza anima, senza quella profondità che trasforma semplici gare in epopee, piloti in leggende, circuiti in santuari.

La domanda vera non è se Imola o Spa-Francorchamps sopravviveranno nel calendario. La domanda è: cosa rimarrà della Formula 1 quando avrà completato questa metamorfosi? Sarà ancora lo sport che generazioni di appassionati hanno amato, o sarà semplicemente uno show patinato, indistinguibile da mille altri prodotti di intrattenimento?

E soprattutto: quando anche i nuovi tifosi, quelli senza memoria, si saranno stancati e avranno voltato pagina – come Domenicali stesso ha detto che sono capaci di fare con estrema facilità – cosa rimarrà? Forse scopriremo troppo tardi che la memoria non era un peso da cui liberarsi, ma le fondamenta su cui costruire il futuro. Che i vecchi circuiti europei, con i loro tifosi scalmanati e le loro infrastrutture datate, non erano il problema ma il cuore pulsante di uno sport che rischia di perdere la propria identità nell’inseguimento del profitto immediato.

La memoria è anche questo: la capacità di guardare indietro per capire dove stiamo andando. E forse, proprio per questo, alla Formula 1 moderna fa così paura.


Crediti foto: Scuderia Ferrari HP

Tags: F1NewsStefano Domenicali
Pietro Ginechesi

Pietro Ginechesi

Scrivo di Formula 1 perché non ho nessuno con cui parlarne.

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