Le parole di Fred Vasseur rilasciate in occasione della rituale cena pre natalizia del Cavallino Rampante non sono una semplice ammissione a posteriori. Si tratta, piuttosto, della certificazione di un errore di valutazione che la Ferrari ha pagato lungo tutta la stagione. “Ho sottovalutato la portata del cambiamento di Lewis”, ha ammesso il team principal, riconoscendo implicitamente ciò che era apparso evidente fin dai primi mesi: l’inserimento di Lewis Hamilton a Maranello è stato trattato come un passaggio naturale, quando in realtà rappresentava una frattura profonda, culturale prima ancora che tecnica.
Una carriera spesa nell’universo Mercedes non si cancella con un cambio di tuta. Hamilton non ha lasciato solo una squadra, ma un mondo costruito su misura: metodi di lavoro, processi decisionali, relazioni umane, linguaggio tecnico. Tutto, come sottolinea Vasseur, era diverso. E in una Formula 1 ogni area lasciata scoperta diventa un handicap competitivo. “Se non sei al massimo livello in ogni singola area, lasci decimi sul tavolo”, ha spiegato il francese, fotografando con lucidità una realtà che la Ferrari sembra aver compreso con ritardo.
Il punto centrale è proprio questo: Hamilton non si è adattato alla Ferrari, ma la Ferrari non ha fatto abbastanza per adattarsi a Hamilton. Lewis è un pilota estremamente sensibile all’ambiente che lo circonda. Non è una scoperta recente, né un limite caratteriale. È una sua caratteristica strutturale, che in Mercedes era stata trasformata in un punto di forza attraverso un ecosistema stabile, empatico e coerente. A Maranello, invece, si è pensato che il solo peso del Cavallino Rampante e la statura del campione bastassero a colmare qualsiasi distanza. Errore fatale.

Ferrari, Hamilton – Adami: un rapporto mai sbocciato
In questo contesto si inserisce il tema del rapporto con Riccardo Adami. Dal punto di vista formale, nulla da eccepire: competenza, metodo, esperienza. Ma la Formula 1 non è fatta solo di procedure. È fatta di fiducia immediata, di comunicazione intuitiva, di sintonia nei momenti di massima pressione. Tra Hamilton e Adami, quella consonanza umana e professionale non è mai diventata evidente. Non si è mai creata quella relazione quasi simbiotica che Lewis aveva costruito negli anni con Peter Bonnington, figura chiave del suo percorso in Mercedes.
Le parole di Vasseur sulla possibilità di separare i due sono, da questo punto di vista, estremamente significative proprio per ciò che non dicono. “Valuteremo tutte le opzioni possibili”. Nessuna conferma, nessuna smentita. In Formula 1, il non detto pesa spesso più delle dichiarazioni esplicite. Il fatto che la Ferrari non abbia blindato pubblicamente la coppia Hamilton–Adami è un segnale chiaro: qualcosa è in valutazione, e potrebbe cambiare nel breve periodo.
Il tempismo, del resto, è una variabile che non si può non considerare. La nuova monoposto verrà presentata il 23 gennaio e appena tre giorni dopo si aprirà la pit-lane di Barcellona per i test 2026. Arrivare a quell’appuntamento con un assetto umano e operativo ancora instabile sarebbe un rischio enorme. Hamilton ha bisogno di certezze, non di sperimentazioni continue. Ogni dubbio, ogni frizione irrisolta, si traduce in performance mancata.

Ferrari pensa alla soluzione interna se dovesse sostituire Riccardo Adami. Loic Serra uomo chiave
È però necessario chiarire un punto: la Ferrari non andrà a prendere Peter Bonnington dalla Mercedes. Non è una strada percorribile, né realisticamente né strategicamente. Bono è parte integrante del sistema della Stella a Tre Punte e tale resterà. La soluzione, se ci sarà, arriverà dall’interno, attraverso una riorganizzazione delle risorse già presenti a Maranello.
Ed è qui che entra in gioco una figura chiave come Loic Serra. Il suo passato in Mercedes, condiviso proprio con Hamilton, lo rende un potenziale mediatore naturale. Serra conosce il linguaggio tecnico, i metodi di lavoro e, soprattutto, le esigenze di Lewis. Sa cosa serve al sette volte campione del mondo per sentirsi a proprio agio, per esprimersi senza filtri, per trasformare il feedback in prestazione. Una sua mediazione potrebbe rappresentare il ponte culturale che finora è mancato tra Hamilton e la Ferrari.

La riflessione finale va oltre il singolo caso. La Ferrari deve interrogarsi sul proprio approccio ai grandi campioni. Non basta ingaggiarli, né metterli su una monoposto competitiva. Serve costruire attorno a loro un ambiente che ne valorizzi le specificità. Schumacher vinse perché la Ferrari si modellò su di lui. Hamilton ha dominato perché la Mercedes fece lo stesso. Oggi, a Maranello, questo processo appare incompleto.
Il mea culpa di Vasseur è un primo passo. Ma in Formula 1 le ammissioni contano poco se non sono seguite da decisioni rapide e coerenti. Il tempo stringe, i test sono alle porte e il 2026 non aspetta nessuno. Se la Ferrari vuole davvero sfruttare l’ultima, enorme occasione rappresentata da Lewis Hamilton, deve intervenire ora. Ogni ulteriore ritardo rischia di trasformare un progetto ambizioso in un’occasione mancata.
Crediti foto: Mercedes-AMG Petronas F1 Team, Scuderia Ferrari HP
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