Formulacritica è una realtà che non ama arroccarsi nella propria torre d’avorio redazionale. Il confronto con i lettori è considerato un elemento chiave, un vero fattore di crescita. Per tale ragione, quando se ne creano le possibilità, ci piace dare voce a chi segue i nostri canali, a chi esprime giudizi e magari fa critiche costruttive che sono l’occasione per spingerci a migliorare sempre di più. Nelle righe successive potrete trovare l’analisi di Brizio, un aficionado che si è espresso su alcune derive mediatiche che la F1 vive in questi anni.
Negli ultimi tempi, la narrazione mediatica della Formula 1 tende sempre più a enfatizzare ogni pole position o vittoria come un’impresa epica, un gesto tecnico ai limiti del miracoloso. Ma per chi segue questo sport da decenni, non tutto ciò che viene venduto come “leggendario” lo è davvero. Anzi, spesso si rischia di perdere il senso della misura, dimenticando cosa siano state le vere imprese sportive.
Prendiamo il recente GP del Giappone 2025. Max Verstappen conquista la pole per appena 12 millesimi su Lando Norris. I media esaltano la sua prestazione come se avesse riscritto la storia. Ma a guardare bene i dati, e soprattutto gli onboard, emerge un quadro più sobrio: sia Verstappen che Norris girano in modo pulitissimo, senza correzioni. Questo significa che entrambe le vetture erano estremamente bilanciate, prevedibili, facili da portare al limite. Nulla toglie al merito dei piloti, ma non è stata un’impresa fuori dal comune. Anche perché: se è stata un’“impresa” quella di Verstappen, perché non lo è anche quella di Norris, che ha girato in meno di un battito di ciglia in più?
Chi invece ha dato qualcosa in più è Charles Leclerc, che con una Ferrari più nervosa e meno stabile si avvicina moltissimo ai due di testa (0.316 secondi), correggendo in curva, domando una macchina meno docile. Ma di questo si è parlato molto meno.
In gara, la narrazione si ripete: Verstappen vince “contro una McLaren più veloce”. Suzuka è una pista tecnica e bellissima, dove però è notoriamente quasi impossibile superare da sempre. Mancano veri punti di attacco, e oggi, con le auto larghe e pesanti, serve un passo superiore di almeno mezzo secondo per tentare un sorpasso. Norris sembrava avere solo 3 decimi di vantaggio su Verstappen. Se sei in pole e non fai errori – come quasi sempre accade con Verstappen – è quasi impossibile essere battuto. Epico? No. Impeccabile, sì. Ma epico è un’altra cosa.
Un altro esempio è il GP del Brasile 2024. In qualifica, Verstappen parte con un assetto molto carico, l’unico tra i piloti di testa ad azzardare questa scelta. Nessuno sapeva quanto avrebbe piovuto durante la gara, ma la Red Bull interpreta meglio gli scenari meteo. La bandiera rossa lo elimina in Q2, ma se fosse passato, sarebbe comunque stato in difficoltà per l’assetto da bagnato. In gara, quando arriva la pioggia, è l’unico ad avere la macchina giusta per quelle condizioni e risale il gruppo con facilità. Strategia perfetta? Sì. Impresa sovrumana? No.

Quando l’epica era vera
Ora, proviamo a ricordare cosa significhi davvero “epico” in F1. Monaco 1988: Ayrton Senna mette 1.427 secondi tra lui e Prost in qualifica. Stessa macchina (McLaren MP4/4), stesso team. Prost era già due volte campione del mondo. Quel distacco è inspiegabile se non con un’abilità di guida superiore.
Donington 1993: pioggia battente dalla mattina, tutti partono con assetto da bagnato estremo. Senna parte 5°, in mezza tornata è primo. Vince la gara doppiando tutti tranne Hill. La sua McLaren monta un motore Ford cliente, con molti meno cavalli delle Williams. Questa è un’impresa epica.
Stagione 1993: Con un V8 Cosworth in deficit di potenza, Senna vince GP come Monaco, Brasile, Suzuka e Adelaide. Quando la pista riduceva il peso della potenza pura, emergeva la guida, la sensibilità, il coraggio (guarda caso, anche qui una macchina più lenta ha vinto a Suzuka…).
Questi sono momenti in cui l’uomo ha prevalso sulla macchina. Dove il pilota ha fatto la differenza. Oggi, con vetture più facili da guidare al limite, strategie radio-guidate e sorpassi regolati da DRS e gestione gomme, le imprese epiche si vedono raramente.

Verstappen e l’era Red Bull: merito individuale o macchina perfetta?
Se ieri l’epica era scritta con le mani nude sul volante, oggi si costruisce spesso con la strategia al muretto o addirittura nel “remote garage”. E nessuno incarna questa transizione meglio di Max Verstappen.
Verstappen è, senza dubbio, uno dei piloti più completi della sua generazione. Ma la narrativa che lo eleva a genio assoluto spesso trascura un aspetto fondamentale: il ciclo dominante Red Bull in cui è inserito, un periodo d’oro che ricorda da vicino quello vissuto con Sebastian Vettel tra il 2010 e il 2013. Anche allora, la Red Bull mise in pista una monoposto tecnicamente superiore, e anche allora si parlò di dominio leggendario. Ma col tempo, il giudizio su quell’epoca si è fatto più equilibrato. I meriti del team sono stati riconosciuti tanto quanto quelli del pilota. Perché dovrebbe essere diverso ora?
Anzi, l’esempio di Vettel dovrebbe far riflettere. Dopo il ciclo vincente con Red Bull, il suo arrivo in Ferrari fu accompagnato da aspettative enormi: doveva essere l’uomo che avrebbe riportato il titolo a Maranello. E in parte, l’occasione c’è stata – soprattutto nel 2017 e nel 2018. Ma proprio lì, nel momento decisivo, sono emersi i suoi limiti: errori di guida pesanti (come Hockenheim 2018) e una gestione mentale non sempre all’altezza della pressione. Il risultato è stato un declino progressivo: prima tecnico, poi psicologico, fino a un’uscita di scena amara. Perché con Verstappen dovrebbe andare diversamente?
La storia della F1 è piena di cicli brevi e talenti che sembravano inarrestabili… finché il contesto ha smesso di aiutarli artificialmente.
Verstappen è un grandissimo pilota. Nessuno lo mette in dubbio. Ma serve più onestà intellettuale nel raccontare la F1. Non ogni pole è un miracolo. Non ogni vittoria è una leggenda. La vera grandezza non ha bisogno di enfasi: si vede da sé.
Oggi Verstappen è al massimo della sua parabola, ma si trova anche in un vicolo cieco potenziale. Il contratto che lo lega a Red Bull è blindato fino al 2028: sembra che preveda una clausola di uscita solo se non sarà tra i primi tre in classifica alla pausa estiva. Ma se, come probabile, sarà ancora ampiamente competitivo, resterà vincolato al team.

E se anche volesse cambiare aria, dove potrebbe andare? Mercedes sembra già sistemata con Russell e Antonelli. Ferrari ha preso Hamilton e punta forte su Leclerc. L’unica opzione credibile sarebbe Aston Martin (ma sarà vincente? Non tutte le auto sfornate da Newey hanno vinto come non tutti i motori Honda hanno primeggiato…). Ma anche lì c’è un ostacolo non secondario: Alonso ha rinnovato fino al 2026, e soprattutto… c’è Lance Stroll.
Lawrence Stroll ha investito miliardi per costruire un team vincente intorno a suo figlio. Può davvero ingaggiare il pilota più veloce del mondo – Verstappen – e metterlo a confronto diretto con Lance, col rischio concreto di distruggerne l’immagine e il morale in poche gare? Quale padre, anche solo minimamente affezionato, metterebbe in moto un’umiliazione pubblica di tale portata?
Non è solo una questione sportiva: è una dinamica familiare, psicologica, personale. Ed è una gabbia, senza contare l’ingaggio esorbitante di Verstappen…
Per Verstappen, il futuro non è così aperto come si vorrebbe far credere. E per la Formula 1, la vera sfida resta la stessa di sempre: ritrovare l’epica perduta, prima che sia solo un ricordo tra i replay di YouTube.
Brizio, 1 Maggio 2025
Crediti foto: Mercedes-AMG Petronas F1 Team, Oracle Red Bull Racing, Scuderia Ferrari HP, McLaren F1
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