Convergenza in F1? Alla faccia del bicarbonato di sodio!

I vertici della F1 hanno strombazzato per anni che presto le norme tecniche e finanziarie avrebbero generato la fantomatica convergenza prestazionale. Il GP del Bahrain è stato uno schiaffo stordente. L'ennesimo.

Dopo aver osservato il Gran Premio del Bahrain non sappiamo se ridere o piangere. Nel dubbio abbiamo sonnecchiato. C’è poco da essere felici, a meno che uno non sia un fan sfegatato di Max Verstappen, nell’apprendere che anche nel 2024, se non arriva uno tsunami tecnico, c’è ben poca trippa per gatti. La Red Bull è esattamente ciò che era l’anno scorso. Così come la concorrenza che sì, sarà più compatta, mangerà meno le gomme, terrà botta sul push lap, ma in gara le becca come se non ci fosse il proverbiale domani.

Non ho voglia di andare a ripescare i distacchi, la matematica è materia a me invisa. Mi basta aver visto la dinamica con cui l’olandese ha tramortito la concorrenza. Il tre volte iridato, che ieri ha timbrato il cartellino per la cinquantacinquesima volta, ha avuto il solo fastidio di doversi guardare le spalle allo spegnimento dei semafori. Virato in testa a Curva 1 ha messo il braccio fuori dal finestrino, si è acceso una bionda e comodamente ha guidato, gestendo, fino alla vittoria. L’ennesima arrivata in carrozza. 

Alla faccia di chi prevedeva avvicinamenti fatali e battaglie epiche che, siamo onesti, nemmeno nel gruppone si sono osservate. Se poi vi siete esaltati per il sorpasso di Russell a Leclerc, per quello di Sainz ai danni dell’inglese della Mercedes e per l’ennesima fumata d’ira di Yuki Tsunoda, che proprio torto non aveva a questo giro, allora avete l’asticella delle attese bassina. Gusti.

Max Verstappen - Gp Bahrain 2024
Max Verstappen (Oracle Red Bull Racing), vincitore del Gp del Bahrain 2024

F1: la convergenza prestazionale latita

La convergenza prestazionale in F1 è come il Godot di Beckett: tutti lo attendono ma non arriverà mai. Stefano Domenicali, colui il quale l’ha annunciata con convinzione, prima o poi dovrà rispondere di questo errore-orrore valutativo. Così come dovranno farlo quei geniacci che le regole vigenti le hanno scritte. La cosa che fa sorridere amaro è che si sono pure sforzati per creare un contesto che generasse incertezze che invece ha congelato lo scenario ed eretto solidi bastioni a protezione dell’impero sorto sulle ceneri del regno precedente.

Dopo anni di test è chiaro che i pilastri non sono serviti a supportare la trave concettuale su cui doveva poggiare la F1 contemporanea. Budget cap, aerodynamic test regulation (un balance of performance peggiorato), norme tecniche fondate sull’effetto suolo e congelamento dello sviluppo delle power unit non sono risultati utili a livellare il campo per evitare che il singolo facesse quel cavolo che gli pare, sportivamente parlando.

Il problema è che la lotta si è consumata tra Adrian Newey, uno che apre strade, concretizza visioni, cesella capolavori d’arte aeromeccanica, e Nikolas Tombazis, il fantozziano impiegato d’ufficio a cui è stata affidata la scrittura delle linee guida che si ponevano l’obiettivo di permettere alle vetture di girare più vicine tra loro.

Mentre si realizza questo scopo, invero irrealizzato, il geniale ingegnere di Stratford-Upon-Avon dava diverse piste ai fenomeni della FIA, a quelli di Liberty Media che pretendevano di legare la fantasia e la capacità dei singoli e agli altri direttori tecnici che ancora oggi, dopo tre anni di “F1 next gen” non ci hanno capito un tubo. 

Forse bisognerebbe prendere esempio da quelli della Alpine che, resisi conto di aver fatto un’altra schifezza come la A524 che ha annaspato nelle retrovie come fosse una Haas qualsiasi (non me ne voglia il buon Gene, un altro che prima o poi deve dare senso alla sua presenza in questo sport), si sono dimessi in blocco. Onore a loro.

Come se ne esce? Boh, non lo domandate al sottoscritto. Bisogna solo sperare che una rondine non abbia fatto primavera, estate e pure autunno (tanto durerà il campionato 2024) e che ciò cui abbiamo assistito ieri sia stato solo un caso. Vi vedo ridere, lo sto facendo anch’io. La verità è che già siamo assuefatti a questa lunga ed estenuante guerra dei poveri che lottano per un tozzo di pane che si chiama gradino più basso del podio. 

Stefano Domenicali, CEO della F1

Dovremmo urlare e ribellarci individuando il giusto soggetto contro cui scaricare le nostre frustrazioni da tifosi-osservatori. E quel bersaglio non si chiama Verstappen. Né tanto meno Adrian Newey. E neppure Red Bull. L’obiettivo è chi detiene il vapore, chi è arrivato dagli States pensando di spiegarci come si muovono gli orologi, pretendendo di snaturare una serie per trasformarla in un ibrido insipido. Proprio come il rumore che producono questi sei cilindri che nemmeno si rompono più. Dio che maledetta noia!

Armatevi di santa pazienza perché si prospetta un calvario di frasi fatte, speranza disattese e urla a seimila decibel di chi, raccontando questo sport, ha già capito che anche quest’anno si aumentano gli ascolti l’anno prossimo. L’editoriale è finito. E pure la mia voglia di scriverlo. Buona domenica.


Crediti foto: F1, Oracle Red Bull Racing

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