La F1 non si è ancora ripresa dall’annuncio shock del licenziamento in tronco di Christian Horner da parte del team Red Bull dopo 20 anni di trionfi, ma continuano a girare una ridda di voci sul suo futuro. Cerchiamo di analizzare la situazione a mente fredda.
Il mondo della Formula 1 qualche giorno fa è stato scosso fin dalle fondamenta da un terremoto di proporzioni bibliche, all’improvviso, in un giorno qualsiasi di una settimana qualsiasi, si e scisso uno dei binomi più longevi e vincenti della storia di questo sport, quello tra Christian Horner e il team Red Bull.
Al manager inglese va riconosciuta una grande ambizione mista a coraggio e grandi capacità manageriali, doti dimostrate già durante la carriera di pilota in F3000 quando nel lontano 1997, decise di fondare un proprio team riempiendosi di debiti e diventandone proprietario e pilota. Una scelta inedita e pionieristica specialmente nell’ambiente automobilistico europeo.
Christian Horner – Le origini di un manager rivoluzionario: dal debito all’apice
La creatura di Horner, il Team Arden, ha iniziato sin dall’esordio a scalare posizioni nell’affollato e duro ambiente della F3000 (attuale F2) e lui, resosi intelligentemente conto di valere molto di più come manager che come pilota, ebbe l’intelligenza di fare un passo indietro per dedicarsi alla crescita della squadra che è stata poi esponenziale.
Partito dal nulla, con il suo team, nel giro di pochi anni, riuscì a vincere 2 titoli piloti e 3 costruttori, risultando nel 2003 il gruppo dominate della serie cadetta, macinando record anche grazie alle doti velocistiche del più grande talento italiano rimasto inespresso: Vitantonio Liuzzi.

Christian Horner – L’ascesa in Red Bull: visione, potere e strategia
Nel 2005 la grande occasione: la scuderia Red Bull, nata appena un anno prima dalle ceneri della Jaguar F1 e venduta dalla Ford al colosso di bibite energetiche (la casa dell’ovale blu ha segnato l’inizio e la fine di questa storia), alla luce della brillante carriera in F3000 lo ingaggiò come Team Principal dandogli pieni poteri e un grande budget da investire per scalare le classifiche ed affermarsi come top team.
Da lì iniziò la storia che lo vide già al secondo anno protagonista di una operazione vincente che sarà alla base di tutti i trionfi: l’ingaggio del progettista inglese Adrian Newey. L’ingegnere, stanco del rigido ambiente di lavoro in McLaren, accettò di approdare in un team di media classifica sia per l’ingaggio faraonico, ma soprattutto per la promessa di gestire in totale libertà gli ingenti investimenti nel settore tecnico, senza subire ingerenze esterne e con la possibilità di dedicarsi ad altri progetti come supercar stradali o barche a vela.
Il resto della storia è nota a tutti e in questi giorni è stata raccontata in tutte le salse con una buona dose di ricami spesso inventati per rendere tutto più intrigante. Quello però che merita di essere raccontato è come Christian Horner abbia saputo gestire il team una volta arrivato al vertice, questa storia è piena di tante luci ma anche alcune ombre.
Due ere di dominio: Vettel e Verstappen a confronto
Nell’era di Sebastian Vettel, l’operato di Christian Horner è stato assolutamente da encomiare per come ha saputo gestire ed incanalare le risorse della squadra portandola in pochi anni a livelli di eccellenza. Se da un lato è vero, come pensano i più superficiali, che i trionfi sono ascrivibili soprattutto al genio Adrian Newey – capace di progettare vetture eccezionali, superiori alla concorrenza – e alle incredibili doti velocistiche di Sebastian Vettel che le ha portate magistralmente al trionfo ben quattro volte (chi dubita del talento del fenomeno tedesco dovrebbe riguardarsi la vittoria sotto diluvio di Monza alla guida della modesta Toro Rosso, alias Minardi), dall’altro lato bisogna ammettere che questo, da solo, non è affatto sufficiente per vincere.
Serve un team preparato e competitivo, perché l’aspetto strategico gestionale in Formula 1 è tutt’altro che secondario: non si vince se tutti gli ingranaggi non sono al loro posto e girano all’unisono. E in questo, il lavoro dell’ex pilota di Leamington-Spa, è stato magistrale.
Va sottolineato che in quegli anni è stata vincente l’intuizione di passare dai motori Ferrari ai Renault, che pur non essendo i più performanti del lotto si sono adattati a meraviglia alle vetture progettate dal genio inglese e, parallelamente, sono stati utilizzati i tanti soldi investiti dalla proprietà per potenziare le infrastrutture ed il personale dell’area tecnico progettuale, portando tutta la struttura a livelli di eccellenza.
Importante sottolineare che in quegli anni, pur correndo con un primo e un secondo pilota, il team riusciva ad ottenere risultati con entrambe le vetture ed a gestire i conflitti senza annichilire un pilota a favore dell’altro, cosa che purtroppo cambierà, e non poco, negli anni successivi.

Dall’innovazione alla controversia: le ombre della gestione Horner
Il racconto della seconda era di supremazia Red Bull non può prescindere dalla premessa che tutto si sia sviluppato a partire dal lunghissimo e pesante dominio Mercedes, che ha pesato più del dovuto sul team principal inglese, il quale ha accumulato una tale dose di frustrazione da fargli cambiare in modo drastico il modo di gestire la squadra e i rapporti politici con la FIA.
L’acerrima rivalità con Toto Wolff – spesso solo malcelata anche nella Formula 1 del “siamo tutti buoni amici e ci vogliamo bene tipo orsetti del cuore” – è stata alimentata dall’atteggiamento spocchioso e spesso arrogante dell’austriaco ed è stata costellata di episodi controversi, come il test segreto Pirelli con Lewis Hamilton, mentre sui social fingeva di trovarsi a Disneyland.
Questa situazione ha reso Christian Horner molto più aggressivo e sopra le righe, sfruttando sia la volontà della FIA di porre fine al dominio Mercedes, culminata nella palese e vergognosa ingiustizia andata in mondovisione ad Abu Dhabi nel 2021, sia le caratteristiche comportamentali del suo pupillo olandese, disposto a tutto pur di vincere
Il futuro della Red Bull senza Horner: opportunità o declino?
Nel 2021, infatti, non c’è stato solo l’episodio di Abu Dhabi, ma anche una sistematica condotta aggressiva in gara che è rimasta impunita pur andando ben oltre i limiti imposti dal regolamento e dal buon senso. Tralasciando il controverso episodio di Silverstone, dove per la prima volta un pilota si è permesso di non alzare il piede di fronte all’aggressività di Max Verstappen, va ricordato che lo stesso è poi salito deliberatamente sulla testa di Hamilton durante il Gran Premio d’Italia con una manovra palesemente intenzionale, che solo i commissari non hanno visto o meglio, non hanno voluto vedere, e che senza l’Halo avrebbe potuto avere conseguenze tragiche.
Senza nemmeno citare la volontaria violazione del Budget Cap, liquidata con strafottenza come una spesa legata al catering, ma che di fatto ha garantito un ingiusto vantaggio alla squadra per la stagione successiva, punita con poco più di un sacchetto di caramelle, il team principal inglese, da fine politico qual è, sapeva bene che la violazione non avrebbe avuto reali conseguenze. Nessuno, del resto, voleva rivedere le Frecce d’Argento sul gradino più alto del podio, cosi ha saputo sfruttare pienamente la situazione.
L’era di Verstappen ha portato in dote altri quattro titoli mondiali e l’annata più dominata della storia della Formula uno, ma la strategia di polarizzare tutto sull’olandese ha portato a conseguenze importanti come il totale azzeramento del vivaio Red Bull. Piloti giovani e talentuosi sacrificati su una seconda vettura non adattabile alle loro caratteristiche, senza alcun supporto né tecnico, né morale per poter mostrare le loro doti in pista. Così come si è creata la svalutazione del team in favore del campione olandese, facendo nascere l’assunto ,ormai in voga, che se si vince è merito di Max e se si perde è colpa della squadra.
Nei precedenti mondiali targati Vettel, il valore e la considerazione di Red Bull intesa come gruppo di lavoro capace di vincere era salita si massimi livelli, invece nei successi targati Verstappen, il team sembra solo una squadretta che il campione porta ai massimi livelli. La realtà è che invece, il lavoro dei progettisti in sinergia con il motorista Honda, è stato determinante per tali successi, avendo per primi portato in pista sin da subito un progetto vincente da quando si è adottato l’effetto suolo.
Ma i veri errori, molto gravi e impattanti per il futuro sono stati l’opposizione feroce all’ingresso di Porsche, che a costo di una perdita di autonomia gestionale avrebbe portato ingenti capitali e know how tali da garantire un competitività a lunghissimo termine, ben oltre il mandato del team principal, e la scelta di rinunciare alla decisiva partnership con un motorista ufficiale, optando per una produzione di motori propri, con il supporto esterno di un colosso come Ford (ed è qui che si conclude la partita).
Una scelta scellerata, che probabilmente costerà anni di limbo e una perenne spada di Damocle in termini di budget per lo sviluppo di power unit molto complesse, come quelle che entreranno in vigore nel 2026 (pur apparentemente semplificate rispetto alle attuali), il tutto per non perdere il potere, e adesso invece?
Horner è stato mandato via dall’oggi al domani, con una lauta buonuscita ed ormai fa già parte del passato. Ma la Red Bull dovrà affrontare una sfida enorme, forse più grande delle proprie capacità. In sostanza, si è passati dalla possibilità di poter avere un team supportato ufficialmente da un partner potente e vincente come Porsche, a lasciare le macerie per gli anni avvenire.

Christian Horner in Ferrari? Uno scenario tra mito e rischio
E’ pensabile a questo punto che Christian Horner possa essere l’uomo giusto per riportare il titolo mondiale a Maranello? Difficile dirlo, perché comunque si voglia porre la questione, stiamo parlando di uno dei più vincenti manager della storia, pur essendo ancora giovanissimo e con un orizzonte di lavoro molto ampio.
Se lo confrontiamo a Frédéric Vasseur il paragone non regge, tanta è la differenza di carisma, capacità organizzative dimostrate e abilità politica nell’ottenere vantaggi sia in pista durante i gran premi che sui tavoli tecnici, dove si decide il futuro della categoria.
Come già scritto tempo fa, in merito al possibile ingaggio di Antonello Coletta, nella Formula uno attuale dei congelamenti e del budget cap, non esiste l’uomo con la bacchetta magica che trasforma le auto lente in auto veloci, non siamo più ai tempi di Colin Chapman dove una intuizione tecnica poteva portati al titolo da una stagione all’altra.
Circa tre anni fa il management, dopo la disastrosa gestione di Mattia Binotto, ha deciso di dare a Vasseur le chiavi della direzione sportiva e da allora sono state fatte molte scelte importanti, come un a costante riorganizzazione interna, la scelta di rinunciare ad Adrian Newey in favore di Loic Serra, l’ingaggio del pilota più vincente di sempre e tante altre decisioni determinanti di cui ancora non si vedono i frutti, ma che potrebbero anche rivelarsi vincenti a partire dalla stagione 2026.
Vale la pena azzerare tutto un’altra volta per l’ennesima sfida, quando ancora non si è capito come sarebbe andata quella precedente? Una politica scellerata che in passato ha portato via da Maranello tantissimi tecnici di grande valore, che ora fanno la fortuna di altri team.
In più, nell’ambiente Ferrari, gli spazi di manovra concessi sono molto diversi da quelli in cui ha potuto esprimersi Christian Horner nei suoi 20 anni a Milton Keynes, anche la pressione e l’ossessione per i risultati sono molto diverse, saprà adattarsi a questa realtà così peculiare?
L’ex team principal Red Bull è troppo “inglese” per l’ambiente di Maranello e non è detto che abbia la giusta diplomazia per gestire la complessa politica interna del team, abituato da sempre ad essere l’unica legge. Anche certe politiche, come quella di rendere superstar un solo uomo a discapito del marchio e portando in pista una seconda vettura indecente che naviga sul fondo della griglia, in Italia non sarebbero ammesse.
Perché il popolo ferrarista non è cosi pragmatico come quello inglese, da noi non conta solo vincere ma anche come lo si fa e il rispetto della storia perché essere Ferrari è una regola non scritta che bisogna rispettare, ma tutto questo non è per tutti.
Difficile quindi dire quale potrebbe essere la scelta giusta, ma quello che possiamo dire con estrema certezza è che la Ferrari, alla vigilia di una stagione fondamentale dalla quale dipenderanno le tre o quattro successive, non ha bisogno di altri salti nel vuoto.
Crediti foto: Christian Horner
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