Alcune volte le parole di un pilota non sono banali dichiarazioni, si pongono come manifesti. Charles Leclerc, stavolta, ha scelto di non nascondersi dietro la diplomazia, di non adeguarsi al linguaggio “levigato” che ormai domina un paddock dove l’emozione viene filtrata dal marketing. Il monegasco ha evocato i ricordi del suo Principato, quando i plurifrazionati aspirati ruggivano tra i palazzi di Montecarlo e restituivano alla gente la vertigine di un’epoca che oggi sembra lontana secoli.
“Mi ha dato i brividi”, ha confessato. Una frase semplice, ma carica di nostalgia e verità. Perché è proprio quel brivido che manca, e Leclerc lo dice senza esitazioni: la Formula 1 ha perso una parte della sua anima, sacrificata sull’altare dell’efficienza e della sostenibilità a tutti i costi. È un peccato, ha aggiunto. Parole che suonano come una specie di denuncia.

I costruttori e gli stakeholder, certo, non hanno chiuso del tutto le porte a un ritorno del V8 ne abbiamo ampiamente dibattuto. Ma la realtà è che, nei tempi e nei modi della politica tecnica della Formula 1, Leclerc dovrà attendere almeno il 2031. E non è detto che accadrà. Un’intera generazione di appassionati crescerà senza conoscere il suono che faceva vibrare lo stomaco, senza provare quella sensazione viscerale che trasformava una corsa in un rito.
E allora Leclerc diventa, suo malgrado, il difensore di un’idea di Circus che non appartiene più al presente ma che continua a rappresentare il cuore pulsante di questo sport. È lui – come d’altro canto ha fatto Max Verstappen a diverse riprese – a ricordarci che non basta la velocità pura, non bastano i numeri delle simulazioni: serve l’emozione, serve l’istinto, serve quella scossa che solo un motore capace di urlare al mondo la propria potenza sapeva trasmettere.
In un Circus sempre più asettico, dove ogni dichiarazione è calibrata e ogni gesto misurato, il ferrarista rivendica il diritto di sognare. E di farci sognare. Non è nostalgia sterile, ma la difesa di una tradizione che ha reso la Formula 1 quello che è. Se oggi qualcuno tiene ancora accesa la fiamma dell’anima pura di questo sport, quel qualcuno porta il numero 16 sul musetto e guida una Ferrari.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
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