Quando Charles Leclerc dichiara al New York Times di sentirsi “grato di essere qui e di guidare per la squadra che ho sempre amato“, dovrebbe suonare un campanello d’allarme. Non nella testa dei tifosi ferraristi, che naturalmente applaudono alla fedeltà del loro beniamino, ma nella mente dello stesso pilota monegasco. Perché la storia della Formula 1 è piena di talenti straordinari che hanno sacrificato i loro anni migliori sull’altare di un sogno che si è rivelato un miraggio. Citofonare Jean Alesi, per fare un nome scolpito nei cuori dei fedeli rossi.
Charles Leclerc – Ferrari, sette stagioni e zero titoli: i numeri non mentono
Facciamo i conti. Leclerc arriverà alla fine del 2025 con sette stagioni in Ferrari alle spalle. Anni in cui ha dimostrato tutto il suo talento, strappando vittorie memorabili e qualifiche da antologia. Ma quanti Mondiali ha vinto? Zero. Quante volte è arrivato vicino al titolo? Mai. Solo nel 2022, quando gli errori strategici del muretto e l’inaffidabilità della vettura hanno demolito le sue speranze, aveva creduto di poter dire la sua nei confronti di una Red Bull che, dopo un avvio balbettante, ha preso a demolire tutti, Cavallino Rampante compreso.
Il monegasco dice di non vedere “ancora il tramonto della mia carriera“, e ha ragione: a quasi 28 anni (li compie il 16 di questo mese, ndr) è nel pieno della maturità agonistica. Ma proprio per questo dovrebbe porsi una domanda scomoda: quanto tempo è disposto ad aspettare ancora? Perché la Ferrari promette di tornare competitiva “l’anno prossimo” dal 2009, e siamo a pochi centimetri dal 2026.

La comfort zone che uccide le ambizioni
Leclerc parla di “comfort zone” riferendosi alla necessità di partire bene nel 2026, ma la vera area confortevole è Maranello stessa. È facile restare dove ti amano, dove sei il pilota di punta, dove ogni tua parola viene accolta come una benedizione dai tifosi. È facile guidare per la squadra dei tuoi sogni d’infanzia, quella per cui facevi il tifo da bambino.
Ma i Mondiali non si vincono con il romanticismo. Si vincono con macchine competitive, strategie impeccabili e un’equipe che sa gestire la pressione. E la Ferrari, negli ultimi diciassette anni, ha dimostrato sistematicamente di non avere questi requisiti quando conta davvero.
McLaren docet: la lezione che Leclerc ignora
Lo stesso Leclerc ammette che “[…] la McLaren ha fatto un passo in avanti molto più grande rispetto agli altri team“. E qui sta il punto: mentre la Ferrari continua a promettere e deludere, altri team crescono, migliorano, costruiscono progetti vincenti. Lando Norris, coetaneo di Charles, si ritrova oggi con una macchina capace di vincere il Mondiale Costruttori e di lottare per il titolo piloti. Per il secondo anno consecutivo e dopo essere partita molto lontana dalla Rossa che è stata raggiunta, superata e doppiata.
Cosa avrebbe dovuto fare Leclerc? Guardarsi intorno. Valutare alternative. Accettare che forse, per realizzare le proprie ambizioni sportive, bisogna tradire il sogno infantile. Sebastian Vettel lo fece lasciando la Red Bull per la Ferrari. E sappiamo com’è andata. Lewis Hamilton ha vinto sei dei suoi sette titoli con Mercedes, non certo con McLaren dove aveva esordito da campione del mondo.

Il tempo è tiranno
“Questi sono anni molto importanti“, dice Leclerc. Ha ragione, maledettamente ragione. Ma non sembra rendersi conto fino in fondo di quanto sia vero. A 28 anni un pilota di Formula 1 è all’apice. Ha esperienza, velocità pura, maturità mentale. Ma la finestra è stretta: tra un lustro, quando il prossimo ciclo regolamentare si avvierà alla conclusione, avrà 33 anni e i top team guarderanno già alla prossima generazione. Charles deve sperare che tra pochi mesi il Cavallino Rampante sia capace di sfornare un mezzo all’altezza delle necessità del suo pilota.
Se Leclerc vuole davvero vincere un Mondiale, deve allora smettere di ragionare con il cuore e iniziare a ragionare con la testa, mosso da una necessaria dose di cinismo professionale. Deve guardarsi intorno, valutare le opzioni, e magari avere il coraggio di fare ciò che Fernando Alonso non fece a suo tempo: lasciare la Ferrari quando è ancora nel pieno delle forze, prima che sia troppo tardi.
L’amore incondizionato è un lusso che i campioni non possono permettersi
Nessuno mette in dubbio l’amore di Leclerc per la Ferrari. È genuino, palpabile, commovente persino. Ma nella Formula 1 moderna, l’amore non basta. I titoli mondiali si vincono con progetti vincenti, non con la passione. E se la Ferrari non sarà competitiva nel 2026, il monegasco dovrà finalmente porsi la domanda più difficile: sono disposto a sacrificare la mia carriera per un sogno che potrebbe non realizzarsi mai?
Altrimenti, tra dieci anni, ci ritroveremo a parlare di Charles Leclerc come del più grande talento sprecato della sua generazione. Un pilota che aveva tutto per imporsi, ma che ha scelto di restare fedele a un amore non corrisposto, mentre altri alzavano le coppe che avrebbero dovuto essere sue.
Ora la palla passa a Vasseur e agli ingegneri, soggetti che hanno l’obbligo di passare dalle (belle) parole ai fatti: costruire una vettura veloce e non l’ennesimo macinino da caffè. E se Charles dovesse rinnovare il suo amore per la rossa anche in caso di vettura “molle” allora sarebbe correo di una carriera che non spicca definitivamente il volo.
Crediti foto: Scuderia Ferrari HP
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