Mancano ancora 10 giorni alla fine di questa lunga pausa “autunnale” prima del Gran Premio degli Stati Uniti d’America (qui gli orari) che si terrà ad Austin, in Texas. Una fase di stop imposta dalla F1 in un calendario di ventiquattro eventi. Due i break: il primo, il classico del mese di agosto, durante il quale le fabbriche dei team sono chiuse per ferie, e questo secondo, inusuale, tra settembre e ottobre, che ci porterà al rush finale tra i due duellanti al titolo, Max Verstappen e Lando Norris.
Come accade in ogni pausa, le notizie scarseggiano e noi editorialisti dobbiamo sempre trovare qualcosa di cui scrivere, anche quando non ce ne sarebbe bisogno. Ma, ahinoi, è il mestiere che amiamo.

La F1 si è evoluta. Una necessità?
Stamattina ho letto il bell’editoriale del mio collega Mauro su quanto fosse diversa la Formula 1 di ieri rispetto a quella odierna. Il pezzo in questione inizia narrando l’esperienza di un suo amico durante la visione di una partita di pallacanestro dell’NBA, il campionato di basket più importante e ricco al mondo, non proprio entusiasmante a detta sua, poiché c’era più spettacolo fuori dal campo che sul parquet.
La “spettacolarizzazione” dell’NBA ha salvato la lega americana. Negli anni ’70, l’NBA navigava in cattive acque: le partite dei playoff venivano trasmesse in differita sulle reti americane con ascolti bassissimi. La maggior parte dei cestisti era nera, e gran parte della popolazione americana, prevalentemente bianca, considerava quel tipo di sport una disciplina per afroamericani.
Jerry Buss, proprietario dei Los Angeles Lakers, inventò lo “Showtime”. I suoi Lakers dovevano avere un gioco spumeggiante, con le ragazze pon-pon a bordo campo e le star di Hollywood, invitate dallo stesso Buss, presenti agli eventi. La rivalità poi con i Boston Celtics, il loro esatto opposto, fece il resto, portando l’NBA dove è oggi.
Tornando alla F1 odierna, dopo il Gran Premio di Miami, dove c’è stata la prima vittoria di Lando Norris e il ritorno alla vittoria della McLaren dopo quasi tre anni, le immagini del team principal della Ferrari, Frédéric Vasseur, che festeggiava con il team di Woking (storico rivale della Rossa) hanno fatto il giro del mondo. Quelle immagini hanno indignato i tifosi “duri e puri” della Ferrari, che hanno accusato il manager francese di danneggiare il marchio che rappresenta.
Quando Schumacher e la Ferrari festeggiavano le vittorie nei titoli piloti e costruttori, la McLaren degli arcinemici Hakkinen e Ron Dennis era presente alle loro feste, anche se di alcuni episodi è meglio non parlarne.
Dal punto di vista dei driver, secondo Mauro, oggi sembrano più una scolaresca in gita che un gruppo di avversari pronti a darsi battaglia. I piloti di oggi, per la maggior parte nati dopo il 1995, sono cresciuti prima con la Playstation e poi con i vari social network, che da un lato ci hanno avvicinato, ma dall’altro hanno sortito l’effetto opposto poiché preferiamo comunicare tramite uno schermo piuttosto che guardare negli occhi il nostro interlocutore.
Eppure ci sono ancora momenti di tensione, come quelli tra Hamilton e Verstappen nel 2021, o più di recente tra Leclerc e Sainz, o Gasly e Ocon. Non ci sono più, però, i Senna e i Prost. Questi, oltre ad una competitività estrema, avevano anche un reciproco odio personale. Ma come è finita la loro storia? Con i saluti di Senna all'”amico” Alain in cabina di commento durante il triste Gran Premio di San Marino del 1994. Un saluto che sarebbe poi diventato un addio.

O, più di recente, basti pensare a quando Hakkinen spiegò a Schumacher come lo aveva sorpassato nell’iconico sorpasso durante il Gran Premio del Belgio del 2000, alla fine del rettilineo del “Kemmel” (qui il mio ricordo). Eppure, i due erano contendenti al titolo, ma fuori dalle auto si parlavano e si complimentavano tra loro.
Infine, si parla di chi muove i fili di tutto: Liberty Media, che insieme a tutte le scuderie presenti in F1 ha respinto la richiesta di Andretti, nome leggendario del motorsport, per proteggere i propri interessi. La F1 di oggi non è più quella che permetteva ai team più disparati di competere, arrivando a 40 monoposto nei box, anche se non c’era spazio per tutti in griglia, e si dovevano affrontare le pre-qualifiche.
Oggi, le scuderie sono vere e proprie multinazionali, e anche chi è nato come “garagista” ha un brand da difendere. Un nome ingombrante come Andretti avrebbe provocato più danni che benefici. Non sono d’accordo: il ritorno del nome “Andretti” avrebbe fatto solo del bene alla F1.
La Formula 1 non è più quella di una volta. Sono cambiate le proprietà, sono cambiate le scuderie, sono cambiati i piloti e siamo cambiati anche noi, gli appassionati che amano questo stupendo sport. Vorremmo farne a meno, in certi momenti, ma alla fine non resistiamo ad accendere la TV per guardare delle auto rincorrersi in tondo per oltre 300 km. È sempre la stessa F1, dopotutto.
Crediti foto: Mercedes-AMG Petronas F1 Team, Formulacritica, Oracle Red Bull Racing, Scuderia Ferrari HP, McLaren F1