Il 2024 di Lewis Hamilton rischia di essere un calvario. Il Gran Premio del Giappone ne è stato un perfetto specchio. Gara senza guizzi, anonima, condizionata da strategie errate, da una W15 malandata e soprattutto da quel vuoto che nasce dentro quando lavori senza stimoli, senza gioia, nell’attesa che qualcosa di nuovo si compia.
Quel qualcosa di inedito non è un’attesa evoluzione della vettura concepita da James Allison, ma l’avventura che Lewis si appresta a vivere nel 2025 quando abbraccerà il rosso della Ferrari.
Quattro gare non fanno legge, un mese di attività è forse poco per delineare scenari concreti. Ma basta per indicare una tendenza. Oggi la Mercedes è sul quel labile confine tra l’essere la quarta e la quinta forza in campo.
Solo questo basta per identificare la stagione per quella che è: un fallimento. Il disastro perfetto che si consuma soprattutto quando il suo direttore tecnico afferma ai quattro venti che la sua creatura è la seconda a realtà della griglia. Parole spese a inizio marzo, all’alba del campionato, non un secolo fa.
Il rischio per Hamilton è quello di vivere l’intera campagna sportiva senza voglia, appiattito su un team che non sa più prodursi in quei guizzi tecnici che l’hanno fatto diventare icona della serie. Lontani i tempi del FRIC, sbiaditi quelli del DAS, obnubilati quelli in cui il motore dettava legge a una concorrenza spiazzata e incapace di reagire nel breve termine.
Hamilton: la pazienza è finita?
Lewis ha iniziato a perdere la pazienza. E si percepisce da un certo modo di approcciarsi ai media. Ieri, in conferenza, gli è stato chiesto se fosse invidioso delle prestazioni della Ferrari in confronto a quelle della Mercedes. Una domanda effettivamente provocatoria alla quale, in altri tempi, sarebbe arrivata una risposta più pacata e sicuramente meglio argomentata.
“Non hai domande migliori?”, ha replicato il pilota che s’è alzato e ha mollato i giornalisti lasciandoli lì basiti. Atteggiamento comprensibile che è sintomatico di un malessere che non si placa e che, anzi, si acuisce di gara in gara.
Anche a Suzuka la W15 ha mostrato il solito schema procedurale: parte discretamente (nulla di esaltante) per finire male. Malissimo. Basta che la temperatura dell’asfalto sale di qualche grado per mandare alla malora assetti e programmi. Allison ha spiegato che c’è una correlazione chiara tra caldo e calo prestazionale ma non ha ancora detto come venirne fuori. E questo spaventa.
Fatto sta che, dopo quattro gare, ancora non si parla di un programma di sviluppo. Forse perché non c’è ancora una traccia da seguire. Il rischio, di questo passo, è sacrificare un’altra annata sperando che la prossima sia più florida. Un circolo vizioso che a Brackley dura ormai da tre anni. Un meccanismo perverso che Lewis tocca con mano e dal quale vuole allontanarsi.

Così si spiega la scelta Ferrari che, da par suo, compie il cammino opposto. Quello che porta alla crescita e all’idea che presto le vittorie non saranno più sporadiche ma sistematiche. Lewis ha intravisto questa possibilità e per questo ha detto addio a chi l’ha reso grande. A chi è stato reso enorme anche grazie alle sue gesta sportive che spera di rinverdire sotto il drappo rosso.
Nel frattempo il rischio di correre sempre più da separato in casa è concreto. Senza voglia e senza mordente, questo mondiale per il trentanovenne di Stevenage rischia di trasformarsi in una prigione dorata.
Crediti foto: Mercedes AMG Petronas F1 Team