Ogni anno, quando la F1 torna a Interlagos, non è solo un Gran Premio. È un ritorno al mito. È Ayrton. È il Brasile che si ferma, che trattiene il respiro davanti alla “S di Senna“, quella doppia curva in discesa che oggi porta il suo nome ma che, prima del 1994, era solo una piega anonima d’asfalto.
Oggi è un santuario della velocità, un altare di lacrime e memoria. Lì dove Ayrton apriva il giro con la precisione di un dio e il coraggio di un bambino.
“Questa non è solo una vittoria, è la vittoria di un popolo“
Era il 1991, la sua prima vittoria in patria. Ayrton Senna tagliò il traguardo con la sull’orlo della rottura, la spalla bloccata, il cambio fermo in sesta marcia. Urlava nel casco, esausto e felice. Quel giorno, il Brasile pianse con lui. Pioveva, come sempre quando la leggenda decide di scrivere da sola la storia. Da allora, ogni goccia di pioggia su Interlagos ha il suo nome.
Ayrton Senna e il Brasile
Trent’anni dopo, il Brasile dei motori vive ancora del suo respiro. Ogni bambino che accende un kart, ogni tifoso che stringe una bandiera verdeoro, lo fa per lui. Ayrton non è un ricordo, è un verbo al presente.
Ci sono piloti che vincono gare e poi ci sono quelli che fermano il tempo. Senna appartiene alla seconda categoria. Con la F1 a Interlagos, il Brasile celebra se stesso, il proprio coraggio, la propria fede e la propria eterna malinconia.
Perché Ayrton era molto più di un uomo al volante: era un modo di essere brasiliani. La sua velocità non era semplice talento meccanico, era la metafora di un Paese che voleva rialzarsi, sfrecciando tra le difficoltà con orgoglio e speranza. Quando correva, correva per tutti. Per chi era sugli spalti, per chi non poteva permettersi un biglietto, per chi vedeva in quel casco giallo la rivincita di un popolo intero.
L’uomo che cercava il Paradiso tra le curve
Anche perché Ayrton Senna non correva solo per vincere. Pregava prima di ogni partenza, cercava Dio nell’asfalto bagnato e trovava sé stesso tra il rombo del motore e il silenzio del cuore. Chi lo vide girare a Monaco 1988 sotto il diluvio racconta di un Ayrton “fuori dal corpo”. Prost lo descrisse così: “Sembrava fluttuare sull’acqua. Non c’era niente di umano in quel giro“.
Un’eredità che non si spegne
Oggi, quando Hamilton o Verstappen parlano di lui, lo fanno con la voce di chi sa di essere figlio di un mito. “Senza Senna, non saremmo qui“, disse Lewis anni fa. E ogni anno, a San Paolo, la città si ferma ancora per lui: bandiere gialle ai balconi, caschi verdeoro nelle tribune, bambini che non l’hanno mai visto correre ma sanno già chi era. Senna non è un ricordo: è una fiamma che ardere ancora nel cuore del Brasile.
Domenica, quando i semafori si spegneranno, Interlagos tornerà a vibrare. Ma tra i boati dei motori, ci sarà ancora quel sussurro leggero, una voce che dice: “Vai, Ayrton, vence por nos!“.
Crediti foto: Ferrari Media Centre
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