Andretti e F1: una pista che si può riaprire senza l’egoismo dei team

La FOM ha chiuso le porte in faccia ad Andretti. Si dubitava che il gruppo potesse accrescere il valore del brand e che potesse essere troppo tecnicamente attardato. Ma c'è un'altra ragione per il ban e che riconduce alla responsabilità dei team

Diciamolo senza sottintesi: la F1 ha perso una bella occasione sbattendo le porte in faccia agli Andretti. Incipit diretto che spiega quale sia la linea della redazione di Formulacritica in cui ci si interroga sulle decisioni prese dalla FOM dopo che la FIA aveva dato semaforo verde al programma americano.

Andretti Formula Racing LLC era stata l’unica entità, di quelle che si erano candidate, che aderiva ai criteri di selezione stabiliti da Place de la Concorde, ma la FOM pretendeva di più in un contesto che ultimamente era tornato a farsi incandescente.

I team e Liberty Media non avevano apprezzato lo slancio di Mohammed Ben Sulayem verso il richiedente statunitense poiché intendevano proteggere il business basato sulle dieci franchigie sportive; un modello che è stato in grado di superare la crisi che la F1 ha conosciuto a causa della pandemia determinata dal Covid-19 e che sta generando tutt’oggi profitti ad alta intensità.

Il recente “Mercedes-gate” ha ulteriormente messo in cattiva luce l’ente di governo francese che ora è visto come una specie di nemico dei team che lo reputano un soggetto che pretende di ingerire in affari che non gli competono, come ha sottolineato Stefano Domenicali quando ha commentato il caso che ha visto coinvolti Toto Wolff e Susie Stoddard sgonfiarsi precipitosamente. Andretti, suo malgrado, si è trasformato in una vittima sacrificale in una guerra che non lo vedeva parte in causa. Il che rappresenta una beffa dolorosissima.

Per Michael, che s’era già messo avanti coi lavori costruendo uno staff di circa centocinquanta specialisti, si è palesato il più grande degli incubi: ottenere l’approvazione sulla base dei requisiti tecnici richiesti dalla FIA e non quella della FOM a causa di mancati accordi commerciali determinati da fattori esogeni.

A questo punto non sarebbe da escludere una potenziale guerra di ricorsi e appelli. Ma non è questa la strada che ha imboccato la cordata guidata da Michael che, incassato il duro colpo, ha metabolizzato e, con pazienza, e ha preso a vagliare altri percorsi. Razionalità.

Andretti
Michael Andretti a colloquio con Mohammed Ben Sulayem, n°1 FIA

Andretti in F1: ci sono ancora possibilità?

Ciò che è sfuggito in questa lotta di potere tra Formula One Group e Federazione Internazionale dell’Automobile, è che quest’ultima è e resta pur sempre l’organo di governo della F1, mentre l’altro cura prettamente gli aspetti commerciali. Pertanto, data la sua posizione, la FIA esaminerà attentamente i 20 punti che la FOM ha esposto nel documento che ha respinto le istanze di Andretti.

Il gruppo guidato da Ben Sulayem può stabilire che le ragioni commerciali non sono elementi tanto forti da determinare un’esclusione. Ma la FOM si è espressa anche circa fattori sportivi sottolineando che non ritiene Andretti un soggetto che possa essere competitivo già nel 2025. E su questo pesa “l’impegno morbido” di Cadillac che non si sarebbe messa a lavorare a un proprio propulsore prima di qualche anno. Su questo fronte i margini di manovra federali sono molto limitati.

Ancora, dati rapporti ampiamente compromessi tra FIA e FOM, sembra improbabile che i primi vogliano ulteriormente mettersi di traverso determinando una frattura malevola per la Formula 1 nel suo insieme.

Nonostante ciò, Andretti deve ancora fortemente credere alla possibilità di entrare nel Circus, magari nel 2026. Diversi progetti sono stati realizzati e qualche modello ha già effettuato dei test nella galleria del vento della Toyota di Colonia che a lungo era stata usata dalla McLaren prima che questa inaugurasse l’impianto di Woking. 

Andretti ha assunto molte persone per il programma F1 e le sta facendo lavorare al modello del 2025 in attesa che vengano deliberate le norme 2026. Proprio questo modo di procedere servirebbe al team per dimostrare alla FOM che si può arrivare pronti al 2026 con una vettura competitiva, facendo così decadere i timori di scarsa forza tecnica

Per quanto riguarda le reticenze sulla capacità di generare introiti, Andretti conta ancora di dimostrare che il suo marchio può aggiungere valore alla Formula 1. E’ evidente che il brand Andretti, molto famoso oltreoceano, possa dare una grande spinta commerciale nel mercato americano. Dopotutto, gli USA sono il paese che la F1 sta cercando di conquistare, anche per motivi economici. Il rendimento finanziario medio di un tifoso americano è molto più alto rispetto ai supporter di altre parti del mondo. E questo dovrebbe avere un peso.

Le conclusioni della FOM, tra le altre cose, non hanno chiarito se Andretti non porterà effettivamente più valore in F1. I punti principali esposti non possono essere dimostrati in modo scientifico. Per questo motivo i tecnici del nascente team continueranno a lavorare tra Indianapolis e Charlotte pensando di poter riaprire la pratica in chiave 2026. Ma non solo. Pare che General Motors continuerà a sviluppare il propulsore per il 2028 e si dice che un grande nome è già stato ingaggiato per guidare il progetto della power unit

Mohammed Ben Sulayem, numero uno della FIA, e Stefano Domenicali, CEO della F1 per conto di Liberty Media

Andretti in F1: il Patto della Concordia vero ostacolo?

Un momento chiave sarà la definizione del nuovo Patto della Concordia, la carta che regola i rapporti tra i team e la F1. Ebbene, anzi male, le dieci sorelle non sembrano essere favorevoli all’allargamento del modello che così bene ha funzionato negli ultimi tempi e che, nonostante qualche scricchiolio, garantisce una certa stabilità. 

Le squadre, per proteggersi, imporranno che la clausola d’ingresso passi dagli attuali 200 milioni a 600, una cifra che è oggettivamente difficile da sostenere per una realtà che intende inserirsi. Il nuovo Patto, quindi, potrebbe definitivamente mettere il bastone tra le ruote al gruppo americano che spera di conoscere a breve il suo futuro. 

Forse, quando patron Michael si è lanciato in quest’avventura, aveva messo in conto le osservazioni della FOM ma non di certo la guerra in corso con la FIA e soprattutto la ritrosia dei team presenti che non hanno mostrato un pizzico di solidarietà e che, realisticamente, non muteranno il loro giudizio negli anni a venire.  


Crediti foto: F1, FIA.
Foto copertina: Autosprint

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