La mia voce sottile si fa più roca, qualcosa mi punge la gola, come se avessi ingoiato un oggetto appuntito. Eppure ho voglia di parlare, di narrare, a dispetto delle circostanze. C’è un bicchiere di vino che mi aspetta per concludere la giornata e un cavatappi che m’invita ad aprire un’altra bottiglia. La bottiglia in questione ha un’aura magica e non contiene solo il frutto dell’uva sapientemente trasformato, allo stesso modo l’utensile da cucina è nobilitato da un accostamento motoristico.
Laguna Seca. La prof di lettere che si è risvegliata in me mi suggerisce che potrebbe trattarsi di un ossimoro. Allo stesso modo, quella di geografia mi ricorda che ci troviamo in California, dunque il clima giustifica certe licenze tutt’altro che poetiche. Siamo nei pressi di Monterey, non lontano da San Francisco, la città colma di salite che ha adottato qualcuno dei vecchi tram milanesi.
Ora abbiamo raccolto tutti gli indizi che, per una volta, non saranno serviti a individuare il colpevole, bensì il protagonista di questa storia. E che protagonista! Perché, lor signori, qui si parla di un certo Alex da Bologna, che non è lo stesso narrato da Enrico Brizzi in “Jack Frusciante è uscito da gruppo“, ma, come lui ,ha pedalato lungo i colli bolognesi, al pari di “un Girardengo appena più basso e rock“, utilizzando però tutta la forza delle braccia in luogo delle gambe. E il nostro Alex viaggiava con l’hand-bike, mica con la Vespa anni ’50 truccata cantata da Cremonini. Socc’mel, ci siete arrivati! Stiamo parlando proprio di lui, quel tal Zanardi da Castel Maggiore.

Alex Zanardi: una storia straordinaria
Un’infanzia vissuta sotto ai portici di Bologna, sognando un altrove, un diletto, in un garage adibito ad officina, rifugio di un padre dilaniato dalla perdita di una figlia, di un ragazzo che aveva detto addio a una sorella. Complici muti ad ascoltare il suono di un motore, requiem condiviso per sfuggire al dolore. E poi la combriccola di amici, lo studio sommario, i sogni alimentati a suon di velocità scomposta e nervosa. Dai kart alle formule minori, tra entusiasmi e cadute, nel soffio languido di una passione.
La vita di Alex è un volo mirabile, una ripida ascesa a cui ha fatto seguito un’importante discesa, dopo la quale è riuscito a planare in luogo di precipitare. Molti i tentativi al pari dei traguardi raggiunti. La Formula 3000, la F1 dal 1991 al 1994 e ancora nel 1999, con uno sfortunato approdo in Williams. La Champ Car dal 1996 al 1998 con il team Ganassi per un sogno a stelle e strisce coronato con i titoli del 1997 e del 1998. E poi quel 2001 fatale, il team Mo Nunn non all’altezza delle aspettative e il terribile incidente del Lausitzring.
Acqua e olio sotto le gomme, pneumatici come saponette in una vasca da bagno. Un testacoda inevitabile e un’auto in balia di se stessa, mentre ne sopraggiungono altre, dannatamente veloci, costrette a traiettorie obbligate. Impossibile sfuggire al destino nell’area breve di un ovale assassino. La vettura impazzita diviene bersaglio da schivare o da centrare in pieno. Accade così lo schianto, inevitabile, pronto a tranciare carrozzeria e gambe. Intento a falciare la vita del pilota, bevendone il sangue a pieni sorsi, lasciandolo con arti secati in balia degli ultimi respiri sedati da un’estrema unzione.

Ma Alex non è fatto per arrendersi e si ribella al destino. Nonostante il dolore, nonostante l’amputazione. Trova il coraggio di rialzarsi, di ergersi, di dare l’esempio. Scherza sulla sua menomazione, rompendo ogni tabù, esternando il suo sentire. Racconta e si racconta, promuovendo iniziative, facendosi portavoce di coloro che vivono in silenzio la condizione di disabili. Diviene fonte d’ispirazione, faro e guida.
In seguito arriva il colpo di fulmine nei confronti dell’hand-bike. Alex pedala, macina chilometri nelle pianure padovane, governa un mezzo particolare che, in qualche modo, ricorda una monoposto. Lo spinge a suon di braccia, sfidando talvolta l’equilibrio precario, azzardando troppo, a volte, come da sempre suo costume. Così capita di trovarlo in un fosso, avvolto da quella sorta di triciclo aerodinamico. E, non molto tempo dopo, sul gradino più alto del podio alle Paralimpiadi di Londra e di Rio de Janeiro.
La sua storia è di quelle che fanno rumore. Mischia dedizione, coraggio e follia. Anche ora che è avvolta dal silenzio, dopo l’ultima beffa di un destino irriverente che ha scelto di infierire e di ferire un uomo magnificamente risorto. Alex è quasi un fantasma da oltre quattro anni, da quel giorno di giugno in Val d’Orcia, in cui l’impatto con un camion ha trasformato la sua hand-bike in una trappola fatale.
Il ragazzo di Castel Maggiore ha imboccato l’ennesima salita, la sta scalando nella penombra, percorrendo una sorta di limbo che nulla ha a che fare con l’espiazione. Qualche volta, a noi che lo abbiamo amato, pare ancora di sentire quella parola stramba in un dialetto antico e musicale. “Socc’mel!” Poi arriva una voce indistinta a completare la frase: “Non penserete mica che sia finita qui!”
Non si può spegnere colui che, non potendo correre e nemmeno camminare, ci ha insegnato a volare. Lo cantavano Guccini e Vecchioni, lo intoniamo noi oggi per celebrarlo.