Non era bastata la commozione post-gara, non erano bastate le palesi parole di commiato del protagonista, non erano state sufficienti le conferme indirette sia della Red Bull che della Visa Cash App. No, qualcuno aveva continuato a cavalcare la marea del dubbio, affermando che, in fondo, Daniel Ricciardo avrebbe mantenuto il suo posto nella scuderia faentina controllata dalla casa madre di Milton Keynes.
Chiaramente, si è verificato l’ovvio: l’italo-australiano si è fatto da parte per lasciare spazio al nuovo che avanza, proveniente dalla Nuova Zelanda – Paese che ha dato i natali a una leggenda come Bruce McLaren – e che risponde al nome di Liam Lawson.
Questo breve scritto non vuole essere una polemica nei confronti di chi ha strumentalmente usato una “non notizia” per creare un inutile clamore, ma vuole essere soltanto un piccolo ricordo, un breve tributo, a un pilota che poteva essere, ma che non è stato. Daniel Ricciardo verrà molto probabilmente ricordato come quel guascone che animava la vita dei paddock e rendeva ogni singola intervista interessante, anche quando si esprimevano banalità.
Perché Daniel reca con sé le doti dell’onestà, della trasparenza e della innata simpatia. Elementi che possono fare la differenza da un punto di vista umano, ma che in una Formula 1 cinica, spietata e utilitaristica sono valori marginali. Ricciardo ha provato a diventare campione del mondo, lasciando una Red Bull in rampa di lancio, credendo fermamente di poter essere l’uomo che avrebbe riportato la Renault ai vertici del motorsport.
Il progetto è andato malissimo e le cose sono peggiorate quando “The Honey Badger” è passato in McLaren in cerca di fortuna. Probabilmente a Woking è arrivato nel momento sbagliato, anche se è riuscito a ottenere una clamorosa vittoria a Monza mentre Max Verstappen e Lewis Hamilton se le davano di santa ragione, eliminandosi a vicenda alla Prima Variante.
Un acuto in stagioni difficili che hanno determinato la sua uscita di scena dalla scuderia inglese. C’è del romantico dietro la chiamata di Christian Horner, che aveva voluto dare una nuova chance a chi aveva deciso di lasciare il team proprio per contrasti interni. Il ruolo da terzo pilota, poi nell’equipe satellite, due stagioni incomplete, ancora una volta sottotono, a chiudere un’esperienza che non può più essere compatibile con una Formula 1 che fagocita i suoi protagonisti, sputandoli via quando non hanno più nulla da offrire.

E forse è vero: tecnicamente parlando, Ricciardo non ha più molto da offrire, tanto che anche il fantomatico sponsor ha dovuto constatare che tenerlo in pista non portava più utili. Non c’è poesia in questo commiato, c’è solo il realismo delle parole di Helmut Marko, che nel giorno dei comunicati ufficiali ha sentito il bisogno di dire che Ricciardo non aveva più quel livello tecnico necessario per prendersi la Red Bull, e nemmeno per conservare il sedile della modesta – perché tale è – VCARB.
Forse Daniel Ricciardo non mancherà a tutti, probabilmente la sua assenza in pista non sarà notata, ma l’uomo ha lasciato un segno così profondo nella Formula 1 degli ultimi anni che la sua assenza dal paddock sarà sicuramente percepita. Mai come questa volta la speranza è di rivederlo in futuro, magari come commentatore, perché Ricciardo è uno di quei personaggi a cui ci si affeziona e che non ci si stanca mai di ascoltare. Buona fortuna, Daniel.
Crediti foto: VCARB